Da una parte ci sarebbero i numeri. Importanti. Cinque gare di semifinale oltre i 20 punti. Capocannoniere dei playoffs a 19.1 di media in 10 gare. I rimbalzi catturati, 18 tra gara 5 e gara 6 contro Sassari. I falli di gara 1 che l’hanno tolto dalla sfida precocemente e l’hanno condizionata (questo è un fatto non un’opinione). Numeri. Freddi. Violenti ma numeri. Poi c’è tutto il resto. C’è un ragazzo di 22 anni che con un regime di allenamento severo e una dieta ferrea, maniacale, ha abbassato la massa grassa al 10% per saltare di più, correre più velocemente, esplodere, fare il pieno di energia. C’è un ragazzo che chiama il suo pubblico, prende consapevolezza dei propri mezzi in modo spettacolare. Così spettacolare da finire secondo assoluto nella classifica marcatori delle Top 16 di Eurolega. Da migliorare per il sesto anno di fila la media assist per gara. Ma questi sono ancora numeri. L’evoluzione di Gentile, come giocatore, come uomo, come Capitano, è un’altra cosa.
Nessuno si aspettava che fosse lui la scelta di Luca Banchi come Capitano dell’Olimpia. A quei tempi aveva 20 anni. Nessuno più giovane di lui aveva avuto l’onore. Nessuno in Eurolega aveva un capitano più giovane. Ma essere capitano qualche volta è solo un appellativo, un’etichetta, nulla di più. Gentile è diventato in questi due anni un Capitano. Con la c maiuscola. Un leader. Non solo perché autorizza i compagni ad alzarsi da tavola dopo i pranzi o cene di squadra. No. Capitano perché dopo la sconfitta di gara 4, si è ribellato al fato. E’ uscito dal palasport di Sassari e ha radunato i compagni, li ha spronati a reagire, ha voluto parlare al pubblico, ha chiesto allo staff di sostenerlo in questa missione. Non è riuscita fino in fondo, si è fermata dopo l’impresa di gara 6. Le lacrime a fine gara, il grido “C’è solo un Capitano” intonato dal pubblico di Milano dicevano tutto. L’Olimpia ha perso uno scudetto in modo molto doloroso e scoperto in questi giorni duri uno dei più degni capitani della sua storia. Già oggi un sicuro Hall of Famer del club, chiunque in futuro dovrà prendere questa (facile) decisione.
Assistere all’evoluzione di Alessandro Gentile è stato un privilegio. Capire Alessandro Gentile è un premio. Vederlo, nel marasma degli insulti dopo gara 4 a Sassari uscire dal tunnel e scorgere, identificare tra facce sfigurate di adulti volgari (come ce ne sono dappertutto, anche a Milano, beninteso), la mano di un bambino, ancora (speriamo per sempre) vergine della cattiva abitudine di insultare il nemico, è stato da brividi. Un bambino affascinato da quel campione che indossava la maglia rossa, ma era stato l’ultimo ad arrendersi. Voleva un cinque. E Alessandro ha visto quella mano tesa e l’ha premiato. Anche in un momento difficile, con i nervi a fior di pelle, perché Gentile non ha mai negato un autografo, una foto, un cinque ad un bambino. Questo è Gentile. Gli altri stereotipi sono solo chiacchiere di gente che non conosce, non vuole conoscere, non sa di cosa sta parlando come chi ne discuteva la nomina di Capitano dell’Olimpia, come erano stati Gianfranco Pieri o Vittorio Ferracini, il padre Nando e Flavio Portaluppi, naturalmente Mike D’Antoni. Con tutti loro, ha la sua giusta collocazione anche Alessandro Gentile. Anche a 20, 21, 22 anni. Non perché bravo, bravissimo, ma perché ha tutto per essere lì. La consapevolezza del proprio talento e la svolta atletica sono solo passi importanti in un’evoluzione che nasce soprattutto da grandi risorse morali.
Il giorno dopo gara 2, Gentile aveva una caviglia gonfia come un melone. Viola. E’ rimasto sotto terapia fino alla palla a due di gara 3. Accudito dal fido fisioterapista Claudio Lomma. Manipolato, fasciato, stimolato. Alla fine c’è voluto soprattutto un grande carattere per andare in campo e giocare alla grande. Per ripetersi in gara 4, ancora in gara 5, quella della grande ribellione. La mattina di gara 6, durante la seduta di tiro ad Alghero, ha sentito tirare i flessori. Si è chiamato fuori dallo shootaround. E’ sceso il gelo sulla palestra. Sovraccarico, fatica, nervosismo. Poteva essere tutto. Ha scrollato di dosso anche quella paura, quei timori e ha giocato una gara 6 dominante. Questa è l’altra evoluzione di Alessandro Gentile: l’eroe. Certo, stiamo parlando di sport, sarebbe lui il primo a puntualizzarlo ma le tensioni, la partecipazione emotiva di un giocatore all’interno di una squadra, una società, di una comunità alle volte sono difficili da assorbire, possono annichilirti o trasformarti. Gentile non è nato giocatore, detestava il basket quand’era piccolissimo, quando imparava l’inglese ad Atene e ingrassava mangiando tutto quello su cui poteva mettere le mani. Gentile è diventato giocatore grazie ai geni giusti di Nando e poi ci ha messo tantissimo di suo. Infortuni, fatica, allenamenti, dieta, ha lasciato casa che era un bambino, è stato bocciato a Bologna, rivalutato a Treviso, valorizzato a Milano, fino a diventare il Capitano. Dopo gara 7, uscito in lacrime, ha ricevuto la visita dell’allenatore avversario Meo Sacchetti, che è stato un grandissimo giocatore. “Le tue lacrime di oggi, che sei giovane, diventeranno il fuoco per vincere ancora”, gli ha detto. Gentile ha vinto a livello giovanile, ha vinto uno scudetto da Mvp, non ha vinto quello di quest’anno che ancora di più avrebbe meritato almeno lui e sancito in modo tangibile la sua crescita. Qualche volta sono le sconfitte – per quanto dolorose, insopportabili, deludenti – a esaltare una figura, un personaggio. Un Capitano. Uno solo. Il nostro. Alessandro Gentile.
Questo video e questo articolo sono un tributo ad Alessandro Gentile e alla sua stagione. Non hanno alcuna relazione con quello che sarà il futuro.