Varese, il ritorno di Pozzecco: “Voglio una squadra che crei entusiasmo. Il basket italiano? Ecco cosa non va…”
Uno dei personaggi che farà sicuramente parlare di sè il prossimo anno in Serie A sarà Gianmarco Pozzecco, che dopo una splendida carriera da giocatore si appresta a conoscere la massima serie anche da capoallenatore. A concedergli questa chance ci ha pensato Varese, non una squadra qualsiasi per l’ex play friulano (conquistò lo scudetto della stella nel 1999). Oggi Pozzecco, dopo l’ottima esperienza umana e professionale di Capo d’Orlando (finale play-off persa contro Trento), ritorna a Masnago anche se in altra veste e confessa, in un’intervista rilasciata a “La Repubblica” tutte le sua sensazioni: ”Tornare a Varese è molto strano, intanto perché ogni persona, ogni faccia che rivedi ti riporta indietro nel tempo, è un’emozione continua.Quando sono entrato in palestra ho trovato in campo il Menego che allenava i ragazzi. La prima cosa che mi è venuta in mente è che ormai è passato tanto tempo, la seconda è che ora siamo noi a dover dire ai giocatori cosa fare, quando andare a dormire, come comportarsi. Non proprio il massimo no?”
Varese, anche il prossimo anno dovrà fare i conti con un budget non altissimo ma il “Poz” sa già quale sarà la ricetta giusta: “Vorrei che squadra, società e ambiente fossero un tutt’uno, che viaggiassero sulla stessa lunghezza d’onda. Come è successo a Capo d’Orlando, una città intera gioiva e soffriva con i suoi giocatori, penso sia la cosa più bella dello sport. Mi piacerebbe ricevere un bel segnale fin dall’inizio, starà a noi poi costruire una squadra in grado di emozionare e appassionare. Inizia da qui la mia opera di convincimento ad affezionarsi a questa squadra, a questa società. E a questo allenatore nano. Sarò felice se Varese sarà amata, se i miei giocatori saranno amati e rispettati dal pubblico e considerati dieci uomini veri. Vorrei una squadra che abbia connessione, capacità di unire passione e professionalità, giocatori che credano in quello che fanno e che vogliano giocare a basket. Giocatori che facciano gruppo, che amino la maglia, che a fine stagione possono anche andare via, ma che si facciano amare dalla gente”.
Infine una parentesi sul basket italiano che, secondo il neo coach varesino, necessita di forti cambiamenti: “Per molti l’espetto goliardico e ludico di questo sport non è compatibile con la professionalità. Assurdo. E poi la considerazione in generale che si ha dei giocatori, per molti solo degli sprovveduti. E ancora: l’importanza degli italiani. Mi rendo conto, dovendo fare una squadra di serie A, che c’è un condizionamento importante rispetto agli stranieri, perché gli italiani sono pochi e secondo me hanno un potere contrattuale troppo alto rispetto al loro valore. Ma è anche vero che il tifoso si fidelizza più facilmente con il giocatore italiano. L’esempio di Meneghin, qui a Varese, calza a pennello. Se parliamo di campo dico che siamo troppo condizionati dai risultati, che mentre tra giocatori c’è enorme correttezza tra noi allenatori c’è molta più falsità. E’ una delle prime cose che ho notato entrando in questo mondo. Il giocatore ha una meritocrazia spiccata, un allenatore è molto più vendibile. Il mio più grande orgoglio è essere stato amato dai miei compagni di squadra e dai miei giocatori… meno dai miei allenatori”.