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Olimpia Milano, ecco Nunnally: “Voglio aiutare Milano a raggiungere il top in Europa.”

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James Nunnally ha svolto oggi il suo primo allenamento con l’Olimpia in vista del debutto di venerdì a Gran Canaria in EuroLeague. In realtà si era già allenato in mattinata prima per sostenere i test fisici con il preparatore atletico Giustino Danesi, poi per un’infarinatura di massima sui giochi della squadra assieme agli assistenti allenatori e a quattro compagni di squadra (Andrea Cinciarini, Nemanja Nedovic, Simone Fontecchio e Kaleb Tarczewski). Infine ha completato la sua mattinata con una meticolosa seduta individuale, di tiri da ogni posizione. Ecco la sua prima intervista.

Sugli inizi come giocatore – “Penso di aver cominciato ad amare il basket seguendo mio fratello maggiore, Mike, tentavo di imitarlo e lui per me c’è sempre stato. E’ stato a mostrarmi la strada, cosa dovevo fare come persona. L’ho sempre seguito. E’ stato reclutato da tanti college quando era al liceo e io volevo essere come lui. Ho cominciato ad amare il basket perché lui lo amava. Ho giocato anche a football, mi piaceva il football, ma ho sempre pensato che il basket fosse la mia vocazione”.

La maglia del liceo ritirata – “E’ stata un’esperienza toccante, in sostanza dimostra che chiunque può riuscirci, realizzare qualcosa di importante se lo vuoi davvero. Non importa da dove vieni, puoi fare grandi cose nella tua vita: se lavori duro e hai le persone giuste attorno puoi farcela”.

Dopo il college a UC-Santa Barbara – “La strada per la NBA sapevo che non sarebbe stata facile. Avevamo un’altra star nella squadra, Orlando Johnson, e lui venne scelto nel draft. Se l’è meritato, io ero Robin, lui per noi era come Michael Jordan e io ero come Scottie Pippen. Sapevo di poter giocare a quel livello e di meritarlo. Ho trascorso tanto tempo nella D-League, mi ha aiutato a crescere e mi ha preparato per giocare nella NBA e in Europa. Sono contento del percorso che ho fatto, quel percorso mi ha portato qui”.

La stagione di Avellino – “Non è stata quella in cui ho realizzato il mio potenziale ma quella in cui mi sono messo più in evidenza. Avellino penso sia stato un posto speciale, per me lo sarà sempre, avere dei veterani accanto mi ha aiutato, Marty Leunen, Alex Acker, Marques Green, avevamo Joe Ragland, Ivan Buva, avevamo grandi persone in quella squadra, Ricky Cervi, avevamo una buona squadra ci siamo divertiti tanto con Coach Pino (Sacripanti), Max Oldoini. Fu una grande stagione, abbiamo preso il volo e vinto molte partite”.

Le stagioni di Istanbul – “Eravamo una squadra altruista. Non puoi essere egoista se giochi in una squadra come quella. Quello che devi fare è sacrificare un po’ di te stesso nell’interesse della squadra, qualche volta può essere duro perché tutti in quella squadra potevano essere stelle altrove, ma se vedi che il compagno accanto a te si sta sacrificando per migliorare anche te o qualcuno altro, tutto è più facile. La coesione, l’unione arrivano di conseguenza e tutto il sistema diventa più semplice da attuare”.

Vincere l’EuroLeague – “Vincere l’EuroLeague, quando vai a giocare in una squadra come il Fenerbahce, è quello di cui si parla, perché loro giocano per vincere ogni anno. Vincere significa sentirsi in cima al mondo, e poi dopo devi anche finire la tua lega, e dici ok abbiamo vinto l’EuroLeague, ma puoi vincere anche un altro titolo. E’ indescrivibile, soprattutto dopo tanto tempo in Europa, con giocatori che provengono da tanti paesi differenti che creano un legame speciale”.

L’esperienza NBA – “E’ stata un’esperienza istruttiva, sono un po’ dispiaciuto di come sono stato gestito dai Timberwoles, ma non direi i Timberwolves, quanto l’allenatore che non mi ha dato l’opportunità di giocare. Mi sono allenato in modo estremamente duro e pensavo di aver dimostrato qualcosa, so che posso giocare a quel livello, ma ormai è il passato, non me ne preoccupo. A Houston le cose non sono andate come dovevano, avevano delle esigenze, necessità di cui preoccuparsi e mi sono trovato sulla linea del fuoco. Non importa, so che posso giocare nella NBA”.

Milano – “Sono stato in Italia, conosco l’impianto e so che qui si sta cercando di costruire qualcosa di speciale per il futuro. E penso di poter aiutare questo progetto. Conosco l’allenatore, ho parlato con Coach Pianigiani per quasi un’ora al telefona. Mi ha chiamato un paio di volte, ha dimostrato di volermi davvero e ho capito quanto mi consideri una parte importante della squadra che vuole costruire, una che riporti Milano al vertice in Europa, che è anche il posto in cui merita di stare”.

Il tiro  – “Io sono un realizzatore naturale, posso segnare in tanti modi diversi e tirare da fuori è uno dei modi più facili di segnare. Ma ho lavorato duro, niente in vita mia mi è stato donato fin da ragazzino, ho dovuto lavorare duro per tutto, non ho paura di lavorare per migliorare e sono qui per dimostrarlo”.

La definizione di 3-and-D è corretta? – “Sono molto di più di questo. E’ un termine che usano per catalogarti. Ma le definizioni ingannano, perché non sono solo questo, so di poter fare molte più cose, ho grande fiducia in me stesso e questo è abbastanza. Voglio solo un posto in cui sono felice, dove sono desiderato e credono in me”.

Qui il video integrale dell’intervista

Ufficio Stampa Olimpia Milano