EDITORIALE. Il quarto capolavoro di Walter, la Reyer Venezia vince la Coppa Italia 2020
Un Capolavoro, il quarto della sua gestione oro-granata da capo-allenatore da quando siede sulla panchina veneziana, esattamente dal 14 febbraio 2016. Lo scudetto 2017, la FIBA Europe Cup 2018, lo scudetto 2019, la Coppa Italia 2020. Per idee, per tattica, per classe, il coach livornese Walter De Raffaele ha avuto ancora ragione, ha badato bene al sodo lasciando agli altri i coriandoli e le stelle filanti, in barba a demagogie e critiche da strapazzo. Il trionfo del suo Sistema, di un progetto che continua a vivere momenti di gloria anche quando non sembra. Perchè la sua Umana Reyer Venezia era partita alle Final Eight come testa di serie n°8 e nessuno degli addetti ai lavori, compresi noi, gli dava credito anche perchè non aveva mai superato quello scoglio del Quarto di Finale nelle sette occasioni precedenti. Alla fine la Reyer ce l’ha fatta, ha vinto il quarto trofeo negli ultimi quattro anni, la sua prima Coppa Italia. E non è poco.
IL CAMMINO
Fin dal primo ostacolo, le emozioni e lo spettacolo non sono mancati. Contro la Segafredo Virtus Bologna, decisa all’overtime, ha vissuto momenti di intensità, di criticità e di emotività con colpi di scena a ripetizione e solamente il canestro di Austin Daye l’ha decisa. Classe dei giocatori sul parquet, ma non solo. Coach De Raffaele ha “imbottigliato” il collega Sasha Djordjevic fin dallo starting five iniziale inserendo Andrea De Nicolao e il rientrante Stefano Tonut, autori dell’11-0 dopo 3′, e la Virtus ha sempre inseguito causa anche e soprattutto il sistema difensivo reyerino che ha “soffocato” non di poco la stella bianco-nera Milos Teodosic con un 2/16 dal campo e 6 palle perse, scalfendo e non di poco l’attacco dal perimetro virtussino che all’intervallo tirava 1/13 da tre. Alla fine è servito l’estro e la classe di Austin Daye, si diceva, ma la vittoria è stata meritata, suvvia, battendo i grandi favoriti della Virtus Bologna.
Semifinale quindi, e si arriva contro l’A|X Armani Exchange Olimpia Milano, che ha sconfitto nel suo quarto di finale la Vanoli Cremona 86-62 con una partita sempre condotta, con tanta facilità. Milano tocca il +12 sul 22-10 dopo 9’…. e si ritroverà sotto di 10 sul 44-54 dopo 30′ per un parziale nei quarti centrali di 22-44. Milano che sparacchia da tre con 4/27, De Raffaele toglie il gioco interno dell’Olimpia nonostante illusorio dominio biancorosso a rimbalzo, e oscura El Chacho Rodriguez con un memorabile Andrea De Nicolao, giocatore questo troppo sottovalutato rispetto ad altri colleghi più acclamati e più elogiati da stampa e pagine social. Milano ha chiare amnesie difensive ed è decisivo il canestro su rimbalzo offensivo di Mitchell Watt, 16+10, che firma il canestro chiave del match. 63-67, è finale per Venezia.
Si va contro l’Happy Casa New Basket Brindisi del coach veneziano Francesco Vitucci. Brindisi ha molti favori del pronostico alla vigilia forte della vittoria con un super Adrian Banks da 37 punti e 41 di valutazione sulla Dinamo Sassari nel Quarto di finale, e dal successo senza alcun problema sulla Fortitudo Bologna di 25, 78-53, con la squadra pugliese ad affossare gli avversari con 8 schiacciate – da ricordare quella di John Brown nel primo tempo -. E invece, pronti, via, la finale viene subito indirizzata dalla banda oro-granata con un 15-2 dopo 7′ grazie a un impatto devastante di Stefano Tonut e causa anche un 3/17 dal campo dei pugliesi che non incidono anche per i falli spesi dalla Reyer. Tyler Stone e John Brown dominano a rimbalzo, ma alla fine peccano con 1/13 al tiro complessivo; il pericolo n°1 Adrian Banks è perfetto nei suoi 15 tiri dalla lunetta, ma tirerà alla fine 4/15. Venezia controlla il match, si porta sul +14, 65-51 a 4’30” e sembra finita… No, 0-10 di break Brindisi e la risolve sempre lui, Austin Daye, con la tripla che risulterà decisiva. Le stats dicono che Brindisi alla fine ha tirato 18/59, perso 15 palloni.
I MERITI DELLA DIFESA, MA NON SOLO
Alla luce di ciò, vien da pensare che in tutte e tre le partite che ha giocato Venezia, le avversarie hanno trovato serate sfortunate, erano stanche, troppo deconcentrate, hanno trovato una pessima giornata al tiro… Insomma, di tutto e di più si può trovare e pensare. E invece l’Umana Reyer di Walter De Raffaele, che ha – per esempio – dominato a Belgrado con il Partizan, sa come si vincono queste tipo di partite, partendo dal classico diktat che “gli attacchi vendono i biglietti, le difese vincono le partite.” Ha giocato a vincere mostrando la sua miglior faccia con una retroguardia che pochi cultori sanno apprezzare perchè il grande lavoro di gruppo mette granelli di polvere nei rodati meccanismi degli avversari e forse nemmeno si valuta il carburante del serbatoio consumato per liberarsi al tiro, forse con pochezza di equilibrio e forza mentale. Chi lo sa? E allora ti interroghi sul perchè gli altri hanno pessime % al tiro da fuori, senza analizzare come mai hanno dovuto tirare tanto da fuori area, altrimenti si sarebbe intuito che non avendo trovato una strada per giocare dentro l’area sono stati costretti al tiro dal perimetro, magari con il tempo che sta finendo e perchè costretti piuttosto che per scelta… Perchè non sono state nell’ordine Virtus Bologna, Olimpia Milano e Brindisi ad aver avuto serate storte al tiro, poichè è stata proprio l’Umana Reyer Venezia che ha fatto giocare male le compagini avversarie, è la Reyer con la sua difesa, col suo sistema di gruppo di giocatori intelligenti che ha mandato fuori giri gli attacchi togliendo sicurezze. Un concetto di squadra, di sacrificio, di unità di intenti che prevale su ogni logica annullando ogni istinto di anarchia. Come in gara-7 di Finale Scudetto 2019, quando la Reyer tenne con una difesa encomiabile a soli 61 punti il Banco di Sardegna Dinamo Sassari, squadra che alla vigilia della serie e della ‘bella’ aveva molti favori del pronostico forte del suo attacco spumeggiante per avere messo sotto prima Brindisi poi Milano venendo da 23 vittorie consecutive. Come allora, Venezia ha messo “la museruola” alle squadre avversarie battendo l’attacco avversario con la difesa. Tutto grazie a un durissimo lavoro tecnico e una società attenta ai particolari che fanno la differenza. Concetto che forse fa a pugni con la spettacolarità, criticato e sospettato, ma in fondo porta a vincere e tanto basta.
IL GRUPPO
La Reyer ha vinto la Coppa Italia perchè ha trovato totale connessione nei suoi interpreti, ha vinto perchè l’Mvp Austin Daye, giocatore considerato prima del suo arrivo a Venezia una ‘prima-donna’, è diventato atleta di sistema nel quadro generale di coach De Raffaele oltre a sapere trovare i canestri spacca-partita; Andrea De Nicolao ha preso le chiavi della regia della squadra; Stefano Tonut (recuperato in tempi record dallo staff medico oro-granata) è cresciuto in difesa (miglior difensore della finale non a caso) e sa prendersi grandi responsabilità offensive, lui che nei suoi anni alla Reyer ne ha avute di ogni sul fisico a causa di tantissime avversità; Jeremy Chappell, come dichiarato in post partita da Walter, sembra alla Reyer da anni e sa come giocare nel gruppo oro-granata; Valerio Mazzola, spesso poco considerato, che si è ritagliato un ruolo importante e mica da comprimario; Mitchell Watt, uno dei migliori pivot del campionato per impatto e per efficienza. Senza scordarsi di Julyan Stone, di Michael Bramos, di Gasper Vidmar, di Ariel Filloy, di Bruno Cerella, di Pellegrino e Casarin… A tutto ciò si aggiungono i soliti problemi che sono sorti di Andrew Goudelock, dentro-fuori costantemente per motivi fisici come Ike Udanoh, e le tante, tantissime situazioni ostili che ha avuto l’Umana Reyer fuori dal campo, ma che sapientemente ha nascosto dai riflettori, ma non solo, e che potevano abbattere il più grande dei giganti. Bisognava avere pazienza e fiducia. Perchè è stata una Squadra appunto, un gruppo di giocatori e staff che ha vinto scudetti e, da ieri, la prima Coppa Italia. What else?
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