Per gli appassionati della palla a spicchi, quello di fine agosto è uno dei periodi meno interessanti: gli affari di mercato sono sostanzialmente conclusi mentre l’inizio delle partite ufficiali è ancora lontano. Ma per i sostenitori della Virtus Roma quello del 24 non è un giorno che resta indifferente.
In questa stessa data, nel 1997, infatti salutava tutti Davide Ancilotto, lasciando un ricordo che anche dopo ventidue anni resta più vivo che mai.
Nonostante un passaggio di una sola stagione nella Capitale, infatti, l’impronta lasciata da “Anci”, come lo chiamavamo tutti, non è stata superficiale. Come il talento che caratterizzava le sue giocate lasciava interdetti gli avversari, così i sostenitori sugli spalti del PalaEur non sono certo rimasti indifferenti alle sue invenzioni. Un atleta dai fortissimi istinti per il gioco, quelli che lo avevano portato a tentare la strada di successo con la palla a spicchi abbandonate le velleità di calciatore a 13 anni, in quel di Mestre. Un cestista dalla stoffa sopraffina, della quale si innamorò il presidente Celada che dall’unica stagione in Laguna se lo portò in quel di Desio. Un ragazzo dai colpi d’autore, quelli che portarono il leggendario allenatore serbo Ranko Zeravica, che lo vide in palestra nella Desio che allenava, a dire addirittura di lui: «Non ha nulla in meno di Petrovic».
Un precursore rispetto all’evoluzione del gioco, che convinse la JuveCaserta a investire su di lui, e a Enzino Esposito a prenderlo sotto la sua ala protettiva, per avviarlo nella strada verso l’eccellenza cestistica nazionale che El Diablo stava battendo.
Una gemma che andò in controtendenza rispetto al declino casertano post scudetto e convinse, nonostante l’annata in A2, il coach della Nazionale Ettore Messina a convocarlo per un collegiale al fianco di gente come Myers o Fucka, altri volti poi noti anche a Roma, per collezionare alla fine 18 presenze in maglia azzurra.
Un crack che esplose definitivamente a Pistoia, con 16.7 punti di media nella stagione 1995-96 che trascinarono il team guidato da Dule Vujosevic (col quale c’era amore reciproco) alla prima qualificazione per una compagine cittadina di sport di squadra a una competizione europea.
Un asso riconosciuto nel panorama cestistico italiano che, come tappa per la definitiva affermazione, fra le tante corteggiatrici italiane ed europee scelse Roma.
All’ombra del Colosseo gli inizi non furono dei migliori, con infortuni e prime prestazioni non all’altezza della fama; ma con un estro a sprizzare da tutti i pori come il suo, in campo e fuori, non poteva non conquistare la ribalta in campo ed entrare nel cuore della Virtus.
Mise nuovamente in fila ottime cifre, riscrivendo i massimi in carriera per punti (31, record ripetuto), assist (7) e palloni recuperati (6) in singola partita e punti per partita (16.8), percentuale da tre punti (40.8%) e ai liberi (86%) in singola stagione.
Ma non furono i soli numeri a conquistare il popolo virtussino: l’impatto che ebbe sul pubblico romano, con l’intensità e la passione che dimostrava nelle sue giocate, come quando nei quarti di Coppa Korac dopo l’importante tripla nelle ultime battute del primo tempo, caricò i tifosi col gesto del cowboy che aveva appena messo mano alle pistole.
Negli anni successivi la Virtus come giocatore all-around ha potuto ammirare Dejan Bodiroga e come campione di matrice italiana ha potuto godere delle gesta di Gigi Datome: con Anci, qualche stagione precedente, fu possibile vedere entrambe le caratteristiche in un cestista solo, precursore anche in quel caso così come per tutta la sua storia.
Una storia interrotta troppo presto, ma che per le tante emozioni donate dal giocatore Ancilotto e dalla persona Davide, non verrà certo dimenticata dagli addetti ai lavori e dagli appassionati che in tante forme gli hanno dato omaggio (dal playground in cui giocava a Mestre che ospita il torneo “4nci”, alle curve della tifoseria dedicategli a Caserta e a Roma) e che continueranno a vederlo infiammare le retine e i cuori dei supporters.
Marco A. Munno
Ufficio Stampa Virtus Roma