Come da copione. Cioè tutto il contrario di ciò che era prevedibile sulla carta. Sul parquet dell’Astronave, l’AT&T Stadium di Dallas, davanti ad 80.000 persone UConn mette in scena l’ultimo upset e quando tutti si aspettavano il trionfo dei freshmen d’oro di Kentucky si porta a casa il titolo nazionale NCAA, il quarto della sua storia a soli 3 anni dall’ultimo, gelando gli Wildcats 60-54, dopo una partita dove non è mai stata sotto, resistendo ad ogni tentativo di rimonta avversaria. Non poteva che essere Shabazz Napier (22, 4/9 da tre, 6 reb e 3 ass) il profeta di questa impresa, che assieme all’altro folletto Ryan Boatright (14, 4 reb, 3 ass) tesse e disfa a piacimento la trama del match, a dispetto del gap fisico con le power guards di Calipari – il più basso del quintetto sfiora i due metri – portate a scuola per 40′. Il ragazzo rimasto al college fino alla fine, spinto dalla madre, dopo che sirene Nba lo tentavano già dopo l’anno da sophomore, spazza via la Kentucky degli one & done, che all’università sono di passaggio, una sola stagione per onorare l’obbligo regolamentare e poi via al piano di sopra. Ed è il trionfo anche di Kevin Ollie, al secondo anno da head coach ma all’esordio al Torneo (lo scorso anno Uconn fu esclusa per problemi regolamentari), che batte l’omologo e ben più quotato Calipari con un game plan perfetto per ideazione ed esecuzione fin dalla palla a due. Non arriva questa volta la sentenza di uno spento Aaron Harrison (7, 1/5 da tre) ad aggiustare le cose sulla sirena, non emerge neppure il talento di un Julius Randle (10, 6 reb e 4 ass) che mostra soprattutto i suoi limiti (normalissimi per un 20enne, meno evidenti se acclamato come il prossimo fenomeno NBA) quando cerca, comunque con coraggio, di prendersi la squadra sulle spalle. Il solo Young (20 con 7 reb) mostra il suo enorme talento tecnico e fisico – impressionante la schiacciata a metà ripresa dove infila nel canestro palla e mezza difesa Huskies – tenendo i ‘Cats in partita quando gli avversari producono i loro allunghi. Ma il ritmo partita resterà sempre nelle mani di Uconn, che inizia nell’unico modo possibile, aggredendo partita e avversari, con i portatori di palla sistematicamente circondati da un branco di piranhas che perdono palloni in serie (7 nel primo tempo, 13 alla fine), alimentando la transizione Huskies. Scelta mirata quella di coach Ollie, con i suoi che vanno comunque al tiro entro i primi 10/15” dell’azione, per impedire alla difesa di schierarsi e far valere la propria stazza superiore. E’ così che una Uconn resa imprevedibile dalla sua inafferrabile coppia di guardie attacca con inaspettato successo il ferro avversario (16 punti in area nel primo tempo), mentre dietro i Nolan e i Brimah svolgono un lavoro più che buono contro le penetrazioni di Kentucky. Calipari prova a cambiare la partita con la zona, dopo che il ritmo forsennato degli avversari produce il 30-15 dopo 15′ e la scelta si rivela azzeccata, cambiando i tempi dell’attacco Huskies ed ingabbiandolo fino all’intervallo. Con gli Wildcats che si accendono dal perimetro con la “doppietta” di Young (Kentucky chiuderà 5/16 dall’arco, contro il 6/19 UConn) la Big Blue Nation sembra svegliarsi dall’incubo piazzando il 16-5 che li riporta a meno 4, 35-31 al riposo, con i primi squilli di Randle. Sembra tutto predisposto per l’ennesima rimonta, ma se Kentucky non riesce mai a prendere l’inerzia nel suo momento migliore, tanta responsabilità c’è anche nelle disastrose percentuali ai liberi (13/24 alla fine contro il perfetto 10/10 Huskies). Ma Uconn continua a crederci, resiste con le unghie e i denti anche quando gli altri tirano per il sorpasso, pescando un Giffey (10 più 5 reb) che, nella serata opaca di DeAndre Daniels (8 più 6 reb), per due volte respinge Kentucky con altrettante triple quando i ‘Cats arrivano ad un solo possesso. Poi ci sono ancora Napier e Boatright a far saltare la zona che Calipari ripropone negli ultimi 10’ di partita, con efficacia decisamente minore, anche perché di là il suo attacco si ostina ad attaccare il ferro a testa bassa con scarsi risultati, fatta eccezione per il solo Young. Randle non è una minaccia dalla media, si prende i tiri per rientrare ma gli escono e l’altro Harrison, Andrew (8, 5 reb, 5 ass) non è un fattore in attacco, anche se sono le scelte rivedibili degli Wildcats a minare le loro percentuali (18/46 dal campo contro il 22/53 Uconn che regge anche a rimbalzo). Col piccolo tesoretto di un paio di possessi, 58-52,Uconn entra negli ultimi 2′ dove trova anche il rimbalzo d’attacco ed i liberi di Lasan Kromah, in un lunghissimo possesso che gela le residue speranze di Kentucky. Finisce col trionfo degli Huskies, con Shabazz MVP per acclamazione, meritato grazie all’intensità e al sacro fuoco da predestinati che hanno portato in campo fin dalla palla a due, contro la Big Blue Nation forse troppo convinta di dover solo tagliare la retina dopo una stagione finalmente raddrizzata. Ma ancora una volta gli “intangibles” – quelli emotivi più che tecnici – che fanno del college basketball uno spettacolo assolutamente unico nel suo genere hanno scritto una storia diversa.
Stefano Mocerino
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