E’ stata un’annata a dir poco magica per Steve Kerr, che al primo tentativo da capocoach ha centrato il titolo NBA alla guida dei Golden State Warriors di Curry e soci, divenendo il settimo allenatore rookie di sempre a conquistare l’anello al primo anno. Un risultato inatteso ma non troppo da parte di un uomo di basket vincente che già da giocatore trasmetteva idee e carattere: un ottima carriera l’aveva portato a vincere 4 volte volte il titolo Nba, 3 con i Chicago Bulls di Michael Jordan e uno con gli Spurs, e a farsi apprezzare per carattere e personalità. Ma a differenza di molti suoi compagni, non aveva manifestato subito la voglia di mettersi in panchina, arrivando piuttosto tardi alla guida di una franchigia: dopo il suo ultimo anello, nel 2003, diviene commentatore televisivo per Cbs e Tnt fino al 2007 quando viene ingaggiato come uomo mercato da Phoenix, dove rimane fino al 2010. Da lì in poi torna alle telecronache e alla tv, facendosi conoscere per essere la voce del celebre videogioco Nba2k.
Il 15 maggio del 2014, il colpo di genio del gm dei Warriors Bob Myers, che lo sceglie come allenatore dei californiani: il resto è storia, con le 67 vittorie in stagione regolare e i playoff sbaragliando New Orleans, Memphis, Houston e i Cavs di Lebron. Una parabola sportiva che sembra casuale e invece parte da lontano: chiedete a Phil Jacskson, suo coach ai tempi di Chicago, che lo apprezzava tantissimo e nel 2001 in un suo libro (“More than game”) ne predisse un radioso futuro come tecnico e erede teorico del suo schema “triangolo”.
Photo by Keith Allison
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