Petrucci sui no di Belinelli e Datome: “Assenze che fanno male, specchio di un sistema sbagliato”
Gianni Petrucci, presidente FIP, mostra tutta la sua amarezza per i no di Marco Belinelli e Luigi Datome per la convocazione in Nazionale per il Torneo PreOlimpico sull’edizione odierna de La Gazzetta dello Sport.
Un estratto delle sue parole.
«È un uno-due che fa male. Ne soffro perché è lo specchio di un sistema sbagliato. Il basket italiano si riempie la bocca di Nba, di Eurolega e del campionato ma non capisce che l’Olimpiade vale molto di più come immagine. I Giochi sono la laurea dello sport. E aggiungo che si diventa campioni solo inseguendo il sogno olimpico».
«Non entro nel merito delle motivazioni e non voglio accusar e i due giocatori. Ho provato a convincerli ma sono rimasti sulle loro posizioni. Però mi chiedo come mai il riposo egli interventi chirurgici vengono sempre programmati in coincidenza dell’attività della Nazionale. E se Beli e Gigi avessero dovuto giocare la finale scudetto fino a gara-7 si sarebbero risparmiati?»
“Non li discuto sotto il profilo tecnico ma credo che un campione, davanti alla prospettiva di giocare l’Olimpiade, farebbe qualunque sacrificio per esserci. Ho ancora in mente le lacrime di Messi e Federer ai Giochi. E chiedete a Carlton Myers, nostro portabandiera a Sydney 2000, quali emozioni ha vissuto: ancora gli brillano gli occhi quando ne parla. Io da dirigente ne ho fatte 12 e se il Dio mi concederà la salute a Tokyo andrò per la tredicesima. Ogni volta è stata un’emozione diversa, tutte impagabili”.
Alla domanda, se è un problema solo del basket, questa la sua risposta:
“Purtroppo sì. Guardate la Nazionale di calcio con quale trasporto gioca e canta l’inno di Mameli. Ha riportato entusiasmo tra gli italiani. E, guardando al passato, voglio ricordare l’esempio di Totti al Mondiale 2006 quando, infortunato, chiese al c.t. Lippi di portarlo comunque in Germania. Il suo gol all’Australia è stato determinante per diventare campioni del mondo e io, allora ero presidente del Coni e sono saltato in campo per abbracciare Francesco”.