[ESCLUSIVA] – Trinchieri racconta il suo Brose: “Qui un livello di organizzazione secondo solo all’NBA”
In testa alla classifica della Beko Bundesliga con il suo Bamberg, Andrea Trinchieri è uno degli allenatori italiani più apprezzati in Europa. Lo abbiamo raggiunto per farci raccontare la sua esperienza in un campionato emergente a livello continentale come quello tedesco e raccogliere le sue impressioni dall’esterno sullo stato del basket italiano, di cui è stato protagonista nel recente passato sulla panchina di Cantù.
Coach intanto grazie per la tua disponibilità e complimenti per la vostra stagione. Partiamo dai motivi che ti hanno portato a scegliere di proseguire la tua carriera in Germania?
“Diciamo che da noi a volte si pensa che chi lavora all’estero lo fa perchè non ha opportunità di lavorare in Italia, quindi fa l’emigrante… Invece io l’ho fatto per scelta, una scelta sicuramente non facile, perchè vuol dire tagliare molte cose. Non mi sono pentito assolutamente, sono contento di affrontare difficoltà diverse e mi piace quello che faccio, senza togliere niente al campionato italiano e all’Italia. Anche perchè dopo quattro anni a Cantù, che per come si vive la pallacanestro lì, valgono dieci anni in qualsiasi altro posto, era difficile trovare una squadra in Italia e poi tornare a giocare con Cantù, perchè Cantù mi ha dato tanto, penso di aver dato tanto indietro, e allora mi sembrava una scelta intelligente andare all’estero”.
Un bilancio, parziale naturalmente, della tua prima stagione in BBL?
“Ogni ‘anno uno’ in qualsiasi posto è sempre il più difficile, perche devi vincere la diffidenza, devi vincere la non conoscenza di certe cose, perchè ogni campionato, ogni squadra, ogni allenatore avversario ha le sue peculiarità. Fino ad ora le cose vanno. Non mi voglio sbilanciare, perchè sarebbe prematuro, però abbiamo cominciato faticando, com’è giusto che sia, con un sistema nuovo, nove giocatori su dodici nuovi, così come l’allenatore, pochissimi che conoscessero la Lega. Siamo cresciuti, siamo diventati un po’ più stabili, arriviamo da una sconfitta dopo 16 vittorie di fila, che è comunque un discreto andare, ora abbiamo le Final Four di Coppa di Germania, poi i play off. A mio modesto avviso, tralasciando i grandissimi club d’Europa, che non hanno eguali per blasone, pubblico, budget e giocatori, questa realtà mi sembra la cosa più vicina all’Nba come organizzazione che abbia visto in Europa”.
Quali sono i fattori dell’indubbia crescita di livello, tecnico e organizzativo, della Bundesliga?
“Mah guarda… quando una cosa cresce in maniera così esponenziale non è mai una sola componente che diventa la chiave. Prima di tutto è una lega estremamente ben organizzata, con un prodotto televisivo di livello Nba o quasi: non potendo competere con il calcio in TV, in Germania hanno creato una piattaforma diversa, hanno dato un prodotto di una qualità assoluta, tutte le partite in HD, con commmento tecnico e approfondimenti pre e post-partita. E quando dico tutte le partite, sono proprio tutte le partite. Il valore del contratto di sponsorizzazione Telekom della Beko BBL è 4.6 milioni di Euro, ma ai club non va una lira… Qua non c’hanno neanche provato ad avere i soldi della televisione, ma per avere visibilità hanno scelto il meglio del meglio, con questi costi qui. Quindi nessuno prende i soldi per il contratto televisivo, sono scelte… E chiaramente i numeri sono importanti, non ce la fai a sopravvivere senza lo share”.
E dal punto di vista delle singole società?
“La BBL è una Lega dove il prodotto finale è più importante delle singole parti, per cui bisogna avere le cheerleaders, bisogna avere lo spettacolo, bisogna avere una ospitality: noi per esempio abbiamo un ristorante nel Palazzetto che fa, prima durante e dopo la partita, 500 coperti, ristorante eh, non ho detto un bar… In sostanza tu offri un pacchetto, come a teatro o al cinema. Rispetto all’Italia mancano gli estremi di “ferocia” del tifo, di trasporto totale, però le famiglie vengono e stanno tre ore al palazzetto, poi se tu magari giochi male e perdi – che non fa piacere a nessuno neppure qua – hanno passato comunque tre ore in un bellissimo palazzo. Capisci che è diversa la visione delle cose, non dico sia meglio, perchè sai… quando penso alla finale scudetto contro Siena, il tifo, anche negli estremi, sono cose che ti prendono dentro. Qua ti prendono con altre cose: il 70% sono palazzetti nuovi o rimodernati, molto accoglienti, noi abbiamo 6800 spettatori, sold out tutto il campionato e siamo una cittadina di 70.000 abitanti. Certo, vinci… è normale che la gente venga, ma è proprio una visione diversa, fare paragoni su due termini così diversi non ha tanto senso”.
Tornando alla dimensione tecnica, che peso hanno i giocatori tedeschi rispetto agli stranieri?
“In Germania vige il 6+6, con gli annessi e connessi di questa formula, perchè secondo me sei ostaggio dei giocatori locali e non ce ne sono abbastanza di buoni giocatori – molto simile all’Italia da questo punto di vista – quindi c’è molta attenzione al settore giovanile con cifre molto importanti. Noi come Brose spendiamo 700.000 Euro del nostro budget. Naturalmente sei portato a farlo, devi farlo perchè c’è bisogno di giocatori tedeschi, è una lega che si sta de-americanizzando, anche se ce ne sono ancora molti. Ci sono tante buone guardie, è un campionato dove l’1 contro 1 e la transizione la fanno ancora da padrone, anche se si sta un po’ spostando, specialmente nelle squadre importanti, in un gioco più europeo. Le tre squadre di testa hanno allenatori non americani, o meglio non di gioco americano, se vogliamo fare dei macrosistemi per semplificare”.
Sta diventando una Lega più attrattiva per i giocatori ? Tu stesso hai preso dall’Italia, per citarne due, Wanamaker e Mbakwe, tra gli stranieri più convincenti della scorsa Serie A…
“Si… e non è detto che non ci peschi ancora in Italia… In generale, magari qua non riesci a raggiungere dei picchi di salario alti, c’è quasi una “barriera”, non si va mai su cifre molto importanti come in Russia o in Turchia, forse solo il Bayern, però il giocatore ha dietro un’organizzazione e una solidità economica che in altri paesi non c’è. Esempio, c’è stato il caso di Trier, squadra che ha avuto una cattiva amministrazione: in un giorno hanno deliberato 8 punti di penalizzazione e il Dipartimento del lavoro della città, l’equivalente della nostra INPS per capirci, paga gli stipendi fino a fine anno. Poi, questa squadra è destinata a retrocedere per gli 8 punti, però capisci… non c’è il grigio: i tedeschi sono o bianchi o neri. Anche qui ci sono squadre che fanno fatica, tutto il mondo è paese, però loro in 5 giorni lavorativi hanno trovato, non solo la soluzione, ma hanno deliberato e mi sembra una buona cosa”.
C’è una “frattura” tra il livello prime tre rispetto alle altre, sia sul piano tecnico che organizzativo?
“Si, il trait d’union è Ulm (la squadra di Maarty Leunen, uno dei pretoriani del coach negli anni canturini, ndr), un po’ più vicina alle grandi, però è vero, perchè qua la gente è abituata a fare con quello che ha, sono molto attenti a questo. Quindi sono tutte squadre con una grandissima organizzazione, però se possono spendere 10 spendono 10″.
Come descriveresti le caratteristiche tecniche del basket tedesco? E’ un basket più basato su principi di squadra rispetto al nostro attuale?
“No… dissento, fin quando ci sarà la regola dei sei tedeschi, le squadre faranno fatica a essere competitive in Europa. Ci vuole tempo per formare una giovane leva di tedeschi. Io penso che siano squadre che, più che un’organizzazione di gioco, seguono una impostazione… Vedi, Pesic, l’allenatore del Bayern, è un po’ il papà della pallacanestro tedesca, ha vinto un oro europeo con la loro Nazionale (nel 1993, ndr). Lui è un santone, non è un allenatore, ormai cammina sulle acque e moltiplica i pani e i pesci… poi se li mangia lui, però li moltiplica. Diciamo che lui ha creato tutta una serie di allenatori, in un certo senso, omologata, sembrano tutte organizzate le squadre tedesche perchè sono molto omologate, chiaramente con interpreti diversi e una conoscenza diversa rispetto a Pesic”.
Cosa pensi dell’eterno dibattito italiano sul numero di stranieri nel nostro campionato?
“Io penso che le regole siano molto pericolose o addirittura negative. Le regole che garantiscono un posto di lavoro in un libero mercato sono negative. E poi fondamentalmente creano un solo grande problema ai club, cioè il fatto che i giocatori italiani costano di più. E’ un circolo vizioso, perchè tu vorresti che il giocatore si impegnasse ad essere migliore giorno per giorno per lo stipendio che prende, ma il fatto che il suo posto di lavoro è garantito dalle regole… chi glielo fa fare? Chi ce l’ha dentro, il vero campione, viene fuori a Lodi Vecchio o a Brescia, in Sardegna come il buon Gigi Datome o a San Giovanni in Persiceto, in qualsiasi situazione. Però i campioni non fanno la media, sono sopra la media…”
E in generale sullo stato del nostro basket?
“Guarda… io odio fare la fiera dell’ovvio, ma la pallacanestro italiana è lo specchio della società. E’ chiaro quanto poco sguardo sul medio/lungo periodo ci sia, c’è lo sguardo per superare la giornata. La pallacanestro avrebbe bisogno di una ristrutturazione molto accurata, con uno sguardo molto più proiettato in avanti. Sono mille le variabili che possono aiutare: il settore giovanile, chi lo fa, come lo fa, i soldi per gli allenatori. Ci vorrebbe più visibilità, ma non abbiamo bei palazzetti, ci vorrebbe la televisione per fare un miglior lavoro, ma il prodotto non è a livello perchè abbiamo perso tutti i migliori giocatori. Ad esempio, domenica sera mi sono preparato frittatona di cipolle, coperta di flanella, persino la bottiglia di Peroni gelata e rutto libero, per vedere prima contro seconda del campionato italiano, e poi… partita già finita dopo quattro minuti. Purtroppo sono queste le cose che vanno a incidere, una squadra troppo forte, poca competizione…”
Impossibile non chiederti la tua opinione sull’arrivo di Metta World Peace, tra l’altro proprio a Cantù…
“Metta è un colpo da ‘circoletto rosso’, come direbbe il buon Rino Tommasi. Ne abbiamo così tanto bisogno…io ricordo quando venivano Joe Barry Carroll, Mc Adoo, Larry Wright, Danilovic, gente che sposta l’attenzione. Al di là della faccenda sportiva, rimane il fatto che è stato un colpo geniale da parte di Cantù ed è, come direbbero gli americani, una Win-Win situation: comunque andrà sarà un successo, tutto il mondo ne ha parlato. In generale chi arriva qui dopo tanto tempo passato in Nba, porta la grandissima professionalità che inculcano oltre oceano. Poi magari avrà delle esplosioni, io non credo, in ogni caso giudicare i giocatori per la loro eccentricità o per comportamenti che noi reputiamo strani è assolutamente inutile. Secondo me Metta gioca a pallacanestro ed è un signor giocatore, poi nella prima partita, purtroppo ‘sfigata’, si è già visto quello che deve imparare. I giocatori importanti nell’Nba sotto i 15 tiri ad allacciata di scarpe non vanno mai, sono più tra i 20 e i 30, in Europa non hai mai così tanti tiri per un giocatore, vuoi per il numero di possessi, per il numero di minuti o il tipo di gioco. Quindi secondo me lui sarà un giocatore che, appena pulisce le percentuali e avrà scelte di tiro migliori, sarà devastante”.
Stefano Mocerino
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