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ESCLUSIVA – Abass si racconta a tutto campo: Cantù, la Nazionale, le origini

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Awudu Abass, Lenovo CantùE’ stato uno dei protagonisti dell’impresa dell’Under 20 di coach Sacripanti all’Europeo in Estonia, nonché uno dei giocatori più attesi nell’ambiente canturino per la prossima stagione. Abbiamo contattato il ragazzo dalla tripla “A”, Abass Awudu Abass, il giorno prima che partisse per le (meritate!) vacanze e l’ala comasca di origine africana ha accettato di buon grado di rispondere alle nostre domande, dentro e fuori il mondo della palla a spicchi.

Allora Abass, intanto grazie della disponibilità… Partiamo dalla tua esperienza più recente con l’Under20. Raccontaci il vostro eccellente Torneo chiuso con una medaglia d’oro storica: «Si, non siamo partiti da favoriti, ma il risultato di questo gruppo nell’Under18 tra le prime 4 (nell’edizione 2011, ndr) dava belle prospettive. Il coach ha sempre creduto in noi, ci ha detto fin da subito che potevamo puntare veramente in alto e alla fine ce la siamo giocata veramente bene, ci abbiamo creduto e siamo stati un gruppo veramente unito. C’era molto accordo tra i giocatori, ascoltavamo tutti il coach e si è visto anche nella distribuzione dei punti e delle responsabilità. La nostra forza è stata questa: essere uniti, difendere, pressare gli avversari per 40’ , anche quando eravamo stanchi. Credo che la forza per fare questo ce l’abbia data la voglia di vincere».

Si parla spesso della crisi del movimento italiano quanto a produzione di giocatori di livello. In Estonia che impressione hai avuto rispetto alle altre Nazionali, espressione di movimenti che negli ultimi anni sono stati più prolifici del nostro?«Si, è vero, si è sempre detto che le altre squadre (Francia, Spagna, Europa dell’est) hanno grandi movimenti giovanili, ma io penso che valga anche per l’Italia: i giocatori ci sono e ci sono sempre stati, magari abbiamo molte meno opportunità di giocare rispetto ad altri Paesi, dove se uno è bravo gioca, qui ci sono un po’ più di difficoltà per entrare in campo. Comunque siamo riusciti a dimostrare all’Europa che ci siamo anche noi. Penso che siamo veramente forti e abbiamo fatto un’impresa incredibile, perché vincere davanti a 7000 persone è veramente indescrivibile. Io sinceramente non ho mai giocato davanti a 7000 persone “contro”. Infatti nei primi 5 minuti ero un po’ teso, poi a lungo andare mi sono sciolto».

Come mai, riprendendo anche alcune considerazioni di coach Sacripanti, questi giovani trovano poi poco spazio nei club? Manca il livello dove “farsi le ossa”, cioè le serie minori?«Penso che rispetto al minutaggio dei giovani alcune squadre tendano ad avere paura, nel senso che cercano di fare risultato, perciò puntano sul veterano, che si sa già cosa possa o non possa dare e ha un rendimento più costante, rispetto a un giovane che presenta più incognite. Personalmente penso che se uno se lo merita è giusto che venga provato, magari non tanto, ma giusto per avere la possibilità di dimostrare il proprio valore, poi se sbaglia può sempre essere richiamato in panchina».

Cosa ne pensi della scelta di fare il college negli Stati Uniti, come il tuo compagno di Nazionale Amedeo Della Valle ad Ohio State? A suo tempo ci hai pensato anche tu?«Si, ci avevo pensato anch’io quando avevo 17 anni, credo che Amedeo abbia anche avuto fortuna. Lui è bravissimo, però anche le conoscenze che ha lo hanno aiutato. E non è che anche lì poi sia tutto rose e fiori, per cui automaticamente diventi fortissimo, perché gli stessi college a volte puntano più a vincere che a formare il giocatore. Per Amedeo si tratta di un’ottima scelta perché adora gli States non solo per il basket, ma anche a livello di stile di vita. Lì ti formi anche personalmente, esci dall’Italia, impari l’inglese, vivi dentro un’altra cultura e così via. Certo è anche una bella scommessa: esci a 23 anni dal college e non sei più giovanissimo, trovi coetanei che magari da diversi anni sono già affermati in seria A o in Europa, alla fine credo sia una scelta che dipende molto dalla persona».

Dopo un Europeo da assoluto protagonista (11.6 punti e 4.7 rimbalzi, scelto nel 1°quintetto del Torneo) sia in senso tecnico che atletico, quali sono le tue aspettative per la prossima stagione?«Io spero davvero l’anno prossimo di trovare il mio spazio. Non pretendo tantissimo, spero solo di avere i minuti che mi meriterò in allenamento. L’unica cosa che posso garantire alla squadra è che cercherò di dare il massimo ogni giorno e poi alle partite. So che commetterò tanti errori, perché sono uno che ne commette abbastanza, ma speriamo bene… E’ la mia seconda stagione, ma di fatto è la prima, perché l’anno scorso non ho fatto niente, quindi ci sono anche un po’ di dubbi, dato che non so cosa potrò dare e avrò comunque più pressione. Spero vivamente che ci sia anche un bel gruppo unito, così sarà più facile integrarsi in allenamento, così come in partita. Partiamo già con Aradori, Cusin, Ragland (cui si è aggiunto anche Leunen, non ancora riconfermato al momento dell’intervista, ndr), che sono una garanzia, compagni che già conosco dallo scorso anno».

E in senso tecnico cosa pensi di dover migliorare per essere competitivo in Serie A?«Sicuramente devo migliorare in tantissime cose. Adesso vado in vacanza per una decina di giorni, poi appena torno mi metterò subito al lavoro. Il salto più importante lo dovrò fare a livello mentale: essere sempre concentrato viene prima di tutto, cosa che ho cercato di migliorare già quest’anno e mi ha portato a fare un bell’Europeo, dove sono stato sempre concentrato e costante, a differenza dell’anno precedente. In senso tecnico, direi il tiro, su cui devo lavorare tanto e il trattamento di palla, in modo da poter interpretare, in un futuro, più ruoli. E poi so che il livello che ho raggiunto adesso non è sufficiente».

Fai un bilancio dell’esperienza con la prima squadra a Cantù, minutaggio a parte, dal punto di vista della tua crescita personale. Si migliora solo giocando e allenandosi coi migliori, no?«Quest’anno mi ha aiutato molto allenarmi con loro, perché, soprattutto nel periodo in cui ho giocato, mi davano tantissimi consigli che non mi aspettavo, su cosa fare, come comportarmi anche se le cose vanno male. E certamente quando hai davanti gente come Markoishvili, Aradori, Mazzarino impari tantissime cose ogni giorno».

Uscendo un po’ dall’argomento basket in senso stretto, cosa pensi degli episodi di intolleranza che si accumulano negli ultimi tempi dentro e fuori il mondo dello sport. A te sono capitate situazioni simili nel corso della tua carriera?«Mah guarda, a pensarci, saranno anche successi, ma io sono uno che queste cose tende a lasciarle andare. Se uno è ignorante e insulta per il colore della pelle, faccio finta di niente, perché non ha senso rispondere. Anche perché se rispondi e reagisci in modo cattivo, alla fine passi dalla parte del torto. Comunque a me personalmente episodi espliciti di razzismo non sono mai capitati e spero non mi capitino in futuro, ma se dovesse succedere… uno se lo aspetta, perché non è un caso se i vari Balotelli o chi per lui vengono bersagliati. In Italia poi a volte vengono insultati anche i giocatori della Nazionale, per cui immaginati tu, uno di colore in Nazionale… diciamo che capirò… Poi è soggettivo, ognuno reagisce a suo modo. Io preferisco lasciar stare, tanto rispondi o non rispondi… non cambia niente, chi ti insulta rimane lo stesso ignorante».

Più in generale cosa vuol dire per un ragazzo nato qui, che ha sempre vissuto qui, non potersi dire italiano, per legge, fino ai 18 anni?«Sul problema della cittadinanza penso che la legge così com’è sia veramente ingiusta: va bene che arrivano tanti stranieri in Italia e magari potrebbero andare in altri Paesi, questo non sta a me deciderlo, però penso che se un bambino nasce qua, lui non c’entra niente: è italiano, perché il territorio è di tutti. Ho pensato che negli altri Stati quando uno nasce gli danno subito la cittadinanza, l’unico posto dove non te la danno è qua e questa è… non voglio dire una vergogna… però è strano».

Pacato, ma con idee molto chiare… Senti, tornando ad aspetti più piacevoli, ci vuoi descrivere il tuo rapporto con i tuoi paesi di origine (il papà di Abass è ghanese, la mamma nigeriana, ndr)?«Le origini si sentono sempre anche se sono nato qui e ho vestito la maglia della Nazionale, ma le nonne e tutti i familiari sono giù. Inoltre in casa si ricordano sempre alcune tradizioni africane: il cibo, come ci si veste, la lingua, i modi di fare, cose che ti portano a sentirti quasi in Africa, come quando arrivano tutti i familiari. Alla fine le mie origini ghanesi e nigeriane le sento sempre dentro di me, perché i miei genitori vengono da lì. Io sono stato in Africa tre volte, ma l’ultima ero veramente piccolo, anche se ne conservo i ricordi. Spero di tornare presto perché le nonne sono molto, molto anziane, per cui tra i miei sogni c’è quello di tornare a vederle prima che ci lascino. E poi loro ci tengono a vedermi “cresciuto” perché come ti dicevo, quando mi hanno visto l’ultima volta ero veramente piccolo».

Salutiamo Abass augurandogli una vacanza riposante, in vista delle fatiche della prossima stagione, carica di aspettative e nuove responsabilità. Del resto si tratta di un ragazzo che ha sempre avuto fama di avere la testa sulle spalle e, dopo questa breve chiacchierata con lui, abbiamo avuto modo di capire in prima persona il perché.

 

Stefano Mocerino

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