Sfumature di blu
Ci sono cose che noi europei non possiamo capire appieno.
Certe cose che per comprenderle devi viverle, ma non solo esternamente, anche internamente, da dentro in tutte le sue variazioni, come le sfumature che portano dall’azzurro celeste al blu. Le sfumature che ci sono tra Chapel Hill e Durham, tra i Tar Heels e i Blue Devils.
Tra North Carolina e Duke.
Quando noi tifosi e appassionati italiani leggiamo che la più grande rivalità sportiva americana è tra due università (forse solo Red Sox-Yankees pareggia questo confronto) e non tra squadre Nba o di Football non capiamo. Ci sembra quasi come se ad appassionare uno stato intero ci sia una partita di serie minori. Stolti noi a non capire subito.
Le immagini parlano chiaro, le settimane di attesa fuori dai palazzetti per assicurarsi un biglietto pure. Non è una partita, non è una rivalità. È LA rivalità, LA partita che vale una stagione, che vale l’orgoglio e la gloria ma soprattutto… gli sfottò.
Forse il tifo universitario è ciò che si avvicina più al classico tifo europeo, quello fatto di grida, urla, insulti e odio. In senso buono chiaramente, odio sportivo.
Sì, perché amare una vuol dire odiare l’altra. Non c’è via di mezzo che tenga.
Tutto questo a noi spesso non arriva, passa sotto traccia nascosto dalle gesta dei grandi big Nba che però sono passati anche loro sul campo universitario giocando davanti a quegli spettatori assatanati.
Cosa rende tutto ciò unico? Come in ogni storia americana c’è sempre una radice storica molto semplice.
“First state university to open its doors”
Università Statale contro Università privata. Basta già questo per dare uno spaccato della società americana, quella senza mezzi termini. Certo i tempi sono cambiati, non troppo però, ma per una famiglia che paga il College c’è una differenza abissale tra pubblico e privato.
Duke è una università prestigiosa dove arrivano le nuove famiglie importanti, i nuovi “ricchi” (perchè le famiglie più radicate restano nella Ivy League) alla ricerca di una posizione sociale ambiziosa, mentre North Carolina è più del popolo, è statale, è di chi non può permettersi altro quindi con forte voglia di riscatto, con la grinta di chi deve dimostrare tutto.
In un epoca di forti differenze sociali immaginatevi la rivalità ai tempi di Nixon (che studiò a Duke) durante il periodo del Watergate. La rivalità non è solo sportiva, ma quella che tocca anche le idee, la politica, l’esistenza. Gli antipodi che si scontrano per l’ennesima volta in una battaglia eterna.
Cinque titoli Ncaa a testa, leggende, ma veramente leggende con la loro maglia.
Facile citare His Airness Michael Jordan, che decise anche un titolo nell’82, James Worthy, Vince Carter, Bob McAdoo (questo i tifosi Olimpia lo conoscono bene) o Dean Smith (a cui è intitolato il palazzetto di Chapel Hill) Duke vanta star come Grant Hill, Kyrie Irving, Christian Laettner( il famoso “intruso” del Dream Team) forse non col il fascino dei rivali ma soprattutto vantano Mike Krzyzewski. Il coach che ha guidato gli Stati Uniti negli ultimi anni tornando a vincere tutto. Un coach in grado di allenare le più grandi star mondiali.
“Coach K Court” c’è scritto sul campo del Cameron Indoor Stadium e questo la dice lunga sulla sua importanza.
Ma allora perché per noi europei è cosi difficile capire veramente questa storia di dualismi? Le Star ci sono, il grande basket anche, eppure ci stupisce sempre.
Molto semplicemente è la classica situazione che capisci al 100% se sei americano, se sai cosa vuol dire essere di Duke o di North Carolina. Se conosci le sfumature del sistema scolastico Usa, che sono un po’ più profonde di quelle che portano il blu celeste al blu scuro.
Ma c’è l’anello di congiunzione. Quella cosa che rende magico ai nostri occhi il basket collegiale.
Non parlo della grinta in campo, della voglia di lottare. Ai miei occhi ciò che risalta più di tutto non è il campo, ma ciò che sta attorno.
Il tifo, i sostenitori folli, le facce dipinte e anche gli insulti. Quelle rimesse laterali con le mani dei tifosi a infastidire gli avversari che rimettono la palla in gioco. Forse questo aspetto questo tifo è ciò che più accomuna le realtà europee a quelle americane. Quel tifo che magari da noi vediamo a livelli più alti e con esagerazioni evitabili ma che ritroviamo nella goliardia degli studenti che vivono da studenti. Come in quei film comici stile American Pie dove vediamo la vita spensierata del College.
Forse questo tifo è un pizzico di Europa che ritroviamo al di la dell’oceano (con forme ed esiti diversi ovviamente) e che ci fa innamorare di questo mondo Ncaa di cui magari ignoravamo l’esistenza.
E a quel punto per noi non è più questione di Celeste o Blu scuro. Sfuma tutto in un Blu Ncaa, quello del logo perché una volta infettati non si torna più indietro anche se non viviamo quella realtà cosi tanto lontana ma che sentiamo in un certo senso vicina.