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Nba-Tutti i motivi per cui il sogno degli Hawks pare ormai arrivato al termine

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23MaggNBAGriglia

Se la Nba fosse un cartone animato, tipo quegli anime a episodi o i film Disney con cui siamo cresciuti, probabilmente gli Hawks alla fine riuscirebbero nell’impresa di rimontare Cleveland e arriverebbero a giocarsi la finale contro quei due gemelli dalla faccia pulita che risiedono sulla Baia (Steph Curry ha un aspetto così innocente che non mi sorprenderei di trovarlo in una pubblicità della Ringo o del Mulino Bianco). In questo scenario Jeff Teague si scrollerebbe una volta per tutte quell’etichetta di brutto anatroccolo (anzi di brutta aquila, già che ci siamo) con cui convive da quando fu scelto da Wake Forest per crescere alle spalle di quel mostro di essenzialità che era Mike Bibby. A fianco a lui si ergerebbe un Horford finalmente riconosciuto tra i migliori lunghi e persino Kyle Korver vedrebbe riconosciute le sue doti di passatore. E così questo gruppo di underdogs batterebbe il fortissimo e meno romantico campione venuto dalla galassia lontana, destinato a dominare il mondo, uno che in questa rappresentazione avrebbe il nome di Lebron James.

 

Sfortunatamente per i ragazzi di coach Bud però, lo sport è molto più razionale di quanto si dica e di solito nove volte su dieci vincono i migliori, anche se poi le storie più affascinanti nascono quando le cose non vanno come devono andare.  A scoraggiare i fanatici di una romantica remuntada non è tanto la cabala, che comunque a livello statistico condanna chi perde le prime due in casa, ma tante piccole e grandi cose che sono apparse chiare fino a ora nella serie, e in generale nei playoff.

Il problema è sia collettivo che individuale. Non è necessario scervellarsi con le più moderne statistiche per vedere che Atlanta non è più quella macchina offensiva perfetta che è stata in regular. In una squadra che non ha un go-to-guy o comunque dei giocatori con un profilo da stelle nel senso più classico della parola, basta che si rovinino un pò, anche solo per mancanza di fiducia o “ansia da prestazione”, i meccanismi è si rischia di non uscire più dall’empasse. Complice pure il ritmo più basso dei play-off Atlanta è passata da essere nella top 5 dei migliori attacchi a un desolante 104,3 punti su 100 possessi prima di stanotte, meglio solo di altre 6 (su 16) squadre qualificate ai playoff. Nelle passate serie però pur diminuendo di efficacia, l’attacco degli Hawks continuava a mantenere una fisionomia chiara e continuava a costruirsi in maniera continua quei tiri in campo aperto che era il loro marchio di fabbrica. Semplicemente quei tiri non entravano, chiedere a Kyle Korver, sceso al 35% nei playoff. Con i Cavs fino ad ora non si può ridurre tutto a questo e l’emblema di queste difficoltà in costruzione è ovviamente il play Jeff Teague. Teague è una straordinaria point guard in un contesto di squadra ma soffre il doversi costruire il tiro e, come tutto l’attacco di Atlanta in generale, soffre se messo in situazione di isolamento. I Cavs l’hanno capito e lo hanno continuamente costretto a prendersi tiri forzati Stesso discorso pure sotto canestro dove un insospettabile Thompson sta facendo un ottimo lavoro sulla coppia Millsap-Horford costretti anche qui a prendere tiri spesso da fermo o i sempre bistrattati “long two”.

Ecco questi sono i problemi offensivi di Atlanta, i più grossi almeno. Poi ci sarebbero i problemi difensivi anzi, il problema difensivo Lebron Raymone James. L’indisponibilità congiunta di Love e Irving ha permesso in gara due al Prescelto di avere sostanzialmente “il suo quinetto”, dove spesso si trovano sul campo lui e buonissimi tiratori. Questa situazione ha già fatto la fortuna di Miami ed è stata una delle chiavi in gara due. Sfruttando una difesa di Atlanta sostanzialmente terrorizzata da James, che veniva spesso raddoppiato, triplicato, quadruplicato anche, I Cavs si ritrovavano con voragini da sfruttare per provare il tiro pesante. Quello che tutti pare abbiamo capito ormai, e lo avevano capito già pure gli Spurs a dire il vero, è che il male minore sia avere un James da 45 punti piuttosto che un James da tripla doppia e quattro compagni in doppia cifra. A fermare James in realtà in gara 1 c’era quel DeMarre Carroll che pareva l’edeale kryptonite del ragazzo da Akron. Poi è arrivato l’infortunio brutto e su James è finito il buon Bazemore che, con tutto l’affetto, resta quello famoso per le esultanze in panchina, finite pure su NBA 2K.  Le alternative insomma non sono il massimo anche perchè se Bazemore resta comunque un buon difensore quando su Lebron sono finiti Antic e Scroder è finita anche la serie.

In quei cartoni quando tutto sembrava perduto succedeva qualcosa: un personaggio resuscitava oppure si trovava un antidoto di squadra per sconfiggere il potente avversario.

A noi pare difficile che possa emergere/resuscitare un go-to-guy, soprattutto dalla panchina, e appare difficile che con partite così ravvicinate possa rinascere quella chimica di squadra ma non si sa mai.