MITICO NORDEST, tra storia e pallacanestro
C’era una volta il “mitico” NordEst. Il motore della crescita economica in Italia negli anni ’80 e 90’ che, dopo l’esplosione del triangolo industriale Milano-Torino-Genova negli anni ’50 e ‘60, si contrapponeva alle grandi industrie dell’ovest con un modello basato sulla piccola e media impresa, sul “self-made”, che vedeva proliferare una marea di aziende nei settori più svariati. Dall’abbigliamento (basti pensare a Benetton o Stefanel), all’ottica (Luxottica), agli elettrodomestici o Al mobile (Snaidero): il settore manifatturiero portava benessere e posti di lavoro in Veneto e Friuli Venezia Giulia, mentre il vicino Trentino Alto Adige trovava beneficio dalla crescente industria turistica, delineandosi come una meta ambita sia in estate che in inverno.
Poi venne la crisi economica, che colpì sia la grande industria del NordOvest ma, soprattutto, la piccola-media impresa dell’ormai ex “Mitico” NordEst. Nella seconda metà degli anni 2000 molte delle ditte che avevano fatto affari d’oro nelle due decadi precedenti erano state costrette a chiudere bottega o a ridimensionarsi. Ma, si dice, che la gente del NordEst è gente dura, lavoratrice, che sa reinventarsi o ricostruire, come fecero i friulani dopo il terremoto del 1976.
E ci ritroviamo così nel 2017, con il movimento della pallacanestro italiana che continua a boccheggiare, con i vari litigi tra Federazione e LegaBasket e palazzetti in condizioni precarie, con squadre fallite o l’orribile stagione dell’Olimpia Milano, che ha chiuso ultima in classifica la partecipazione in Eurolega. I migliori giocatori nazionali si vedono costretti a “emigrare” all’estero per cercare (e trovare) la gloria, basta pensare a Gigi Datome o Nicolò Melli, oltre agli NBA.
Ma c’è comunque chi ha voglia di lottare, chi si impegna e ce la mette tutta, chi lavora duro e alla fine si vede ricompensato grazie allo sforzo. Chi da “piccolo” vuole diventare grande. È l’anima del NordEst: l’anima della Reyer Venezia e dell’Aquila Basket Trento, che stanno lottando in un’inedita quanto inaspettata finale scudetto. È l’anima della Pallacanestro Trieste, in finale di A2 contro la Virtus Bologna per conquistare un’inattesa promozione. L’anima della Pallacanestro Treviso, che aveva chiuso prima la regular-season in A2 o quella della Scaligera Basket Verona, qualificata ai Playoffs come ottava ad Est e capace di far fuori al primo turno l’Angelico Biella, prima ad Ovest. E anche l’anima dell’APU Udine, in grado di conquistare una tranquilla salvezza e sfiorare la post-season da neopromossa.
Non ci sono più i soldi di Luigi Del Vecchio, che con la Luxottica aveva sponsorizzato il campionato dal 1993 al ‘96, o quelli di Benetton a Treviso, Stefanel a Trieste o Snaidero a Udine. Ma la voglia è la stessa, con squadre vecchie e nuove che hanno saputo reinventarsi e trovare la propria via verso la gloria, grazie a voglia e lavoro.
Certo, fa effetto veder giocare delle partite di finale scudetto sotto un “tendone” con temperature e umidità improponibili, e forse queste immagini del Taliercio comunque pieno di gente entusiasta per le gesta della sua piccola-grande squadra contro un’altra piccola-grande squadra sono emblematiche. Non importa il luogo, quello che conta è lo spirito, e probabilmente al movimento della pallacanestro in Italia un po’ di umiltà “made in NordEst” è quello che ci vuole. Tornassero anche un po’ più di “schei” – come direbbero in Veneto – di certo non guasterebbe…