Milos Teodosic e l’insano fascino dell’incompiutezza
Quando una squadra con Teodosic incontra una squadra con Spanoulis, quella con Teodosic è una squadra (sportivamente) morta. Parrebbe l’incipit per un western di Sergio Leone e invece è il miglior riassunto possibile dell’ennesimo episodio dello psicodramma Cska.
A gennaio i 24 manager della Eurolega avevano indicato Milos Teodosic come Mvp della stagione di un’incollatura su Spanoulis. Nonostante ciò la maggior parte dei ventiquattro, dovendo scegliere un giocatore da avere nella propria squadra, dcievano di preferire il greco. Ieri sera si è capito ulteriormente perchè quella che parrebbe quanto meno un’incongruenza ha in realtà radici ben fondate su cui basarsi. Lo scontro Teodosic-Spanoulis ha qualcosa di incredibilmente romantico, come ogni volta che vanno a scontrarsi due poli diametralmente opposti, e questo finisce per convincerti a seguirlo anche se sai bene come andrà a finire. Nel mondo ci sono solo quattro cose al mondo sicure: le tasse, la morte, le sessanta degli Spurs e la mano fredda di Vassilis Spanoulis. Nessuno si è scomposto per l’inizio balbettante del greco, capace di sbagliare i primi undici tiri del match perchè Vassilis è come quegli eroi dei cartoni animati che sai che alla fine usciranno dai loro guai con una prodezza o una magia verso il finale. La perfetta nemesi per Milos Teodosic. Il talento del serbo non è in discussione ma rischia di finire per sempre prigioniero di quei limiti caratteriali che ne riducono l’efficacia nei momenti che contano. Il problema di Teodosic è che al fianco delle sue paure convivono anche una fastidiosa supponenza, quasi un atteggiamento di superbia, che non lo aiutano. I suoi tentativi di erigersi a leader finiscono sempre per essere fraintesi e finiscono per apparire capricci da prima donna, vedere a proposito la polemica scoppiata nel post partita con la sua nazionale. Il blocco di Teodosic non appare dovuto a una mancanza di fiducia nelle proprie capacità, ma ad una incapacità nel capire quando e in che modo fare la cosa giusta. Teodosic crede tanto nel suo talento e lo ha dimostrato in tutto quel, finora fallimentare, processo di avvicinamento con la Nba. Da giocatore proprio di quell’Olympiacos che ora ne infesta gli incubi si iscrisse infatti ad un draft Nba in cui nessuno se la sentì di scommettere su di lui e, quando i tempi sembravano maturi per completare l’approdo, dimostrò ancora il suo deficit di umiltà andando a chiedere un contratto monstre da tre milioni ai malcapitati Grizzlies che poi virarono (beati loro) su Mike Conley.
E’ormai difficile capire come agire con Teodosic per un allenatore, poco importa che tu sia un santone come Messina o un meraviglioso newcomer come Itoudis. Teodosic potrebbe essere un Ronaldo del basket (scegliete voi quale) ma sembra sempre limitato, condannato al destino di un Recoba costretto a rivivere in continuazione il suo cinque maggio. Itoudis aveva costruito una squadra perfetta per Teodosic, affiancandogli un De Colo in grado di prendersi quelle responsabilità che sembravano schiacciarlo e trovando in Jackson quel giocatore in grado di dargli la possibilità di potersi prendere delle pause durante il match. Ma Teodosic ha deluso ancora. Ha deluso ben più ampiamente di quanto dicano i numeri, quel 2/9 finale infarcito da 6 palle perse, e così quando a meno di due dalla fine il serbo si perde nei suoi demoni e regala palla a quel greco così diverso da lui capisci che ancora una volta sulla sceneggiatura è scritto il solito finale e spegni la televisione con il solito rammarico per quello che sarebbe potuto essere. Teodosic resta una di quelle ragazze bellissime ma problematiche, quelle che ameresti con la passione che non dedicheresti a nessun’altra se non fosse sistematicamente portata a deluderti sul più bello. E allora, come quei ventiquattro allenatori, finirai per scegliere la sicurezza e la fedeltà di un Vassilis Spanoulis, perchè in fondo, in un mondo di incertezze hai voglia di certezze.
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