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Il sale del razzismo sulle ferite ancora aperte dell’America sportiva

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New York, 27 Agosto 2020

Trayvon Martin. Breonna Taylor. George Floyd. Jacob Blake e’ solo l’ultima vittima di un rigurgito difficile da accettare per la comunita’ afroamericana negli Stati Uniti, dove se sei nero devi stare attento a come ti muovi quando sei fermato dalla polizia. Devi fare attenzione a dove metti le mani. Devi pregare che il poliziotto che ti ferma non abbia litigato con la moglie, la sera prima. Cio’ che e’ successo a Kenosha, nello stato a maggioranza repubblicana del Wisconsin, deve far riflettere non solo la i neri d’America, ma tutta la nazione e tutto il mondo su quanto marcata sia ancora la disparita’ di trattamento in base al colore della pelle o alla differenza etnica, perche’ certamente il razzismo affonda radici antiche e profondamente radicate nella nostra vita di tutti i giorni, in piccole cose di cui nemmeno ci rendiamo conto, intorno a noi e troppo spesso anche dentro di noi.

Nel quartiere di Bedford-Stuyvesant, cuore pulsante della New York cestistica (e luogo natio di un certo Michael Jordan) e’ stato creato, poco piu’ di un mese fa, un grande murales raffigurante tutti i nomi e le storie delle vittime di questi anni, a simboleggiare la voglia di giustizia ed uguaglianza di una comunita’ intera, fatta da bianchi e neri, gialli e rossi, tutti insieme contro la violenza e il razzismo.

Ed e’ in questo clima, fatto di rabbia e sconcerto, ma anche voglia di cambiare, che le proteste hanno ripreso il loro corso in diverse citta’ statunitensi, in primis appunto New York, dove migliaia di persone hanno ripreso con veemenza a marciare per manifestare contro i privilegi della NYPD (la polizia newyorkese), richiedendo giustizia per le vittime e il “defunding” della stessa, per dirottare fondi verso associazioni benefiche a favore dello sviluppo delle aree meno fortunate – come Bed Stuy, Canarsie, East New York e molte aree del Bronx.

Tutto questo ha portato ad una nuova ondata di reazioni nello sport oltreoceano – che rappresenta spesso un’ancora di salvezza per tanti ragazzini emarginati, un modo per sfuggire spesso e volentieri dal razzismo sistemico, che fa ancora piu’ male di quello di strada.

La NBA ha deciso, come sappiamo, di rinviare le gare di playoffs fino a data da destinarsi (molto probabilmente Venerdi’ 28 Agosto) per decisione dei giocatori di boicottare le partite previste nella bolla di Orlando. Moltissime le reazioni indignate delle stelle impegnate nella post season – da LeBron James fino a Kawhi Leonard e Pat Bev (vedi nostro articolo qui) con the King addirittura a twittare un post velenosissimo diretto al presidente Trump, ad acuire le tensioni gia’ preesistenti tra l’idolo dei Lakers e l’istrionico capo del governo Americano – che per la cronaca si e’ pressoche’ astenuto dal commentare l’accaduto, come in suo (discutibile) stile quando la patata bolle. I media statunitensi si sono uniti quasi totalmente a favore della decisione del circo della palla a spicchi, a partire dalla CNN passando per la NBC, mentre alcuni network come Fox News – di proprieta’ del ricco presidente – cercano falle nel passato di Blake per minimizzare l’accaduto.

A ruota e’ seguita la lega professionistica di baseball a stelle e strisce, la MLB, fresca di ripresa dei giochi post COVID, con alcune squadre che hanno boicottato le partite previste ieri. I primi sono stati i Milwaukee Brewers, che non sono scesi in campo contro i Cincinnati Reds, seguiti dalle sfide Mariners-Padres e Dodgers-Giants. Le altre partite sono state giocate ma con diversi protagonisti fuori, in segno di protesta contro quanto accaduto. Stessa sorte hanno avuto le partite di WNBA, la lega femminile di basket, che ha rinviato tutte le tre partite previste Mercoledi’ notte (incluse le Lynx, gia’ squadra della nostra Cecilia Zandalasini). Non ultima la scelta della Major League Soccer di posticipare le proprie gare (ad eccezione di Orlando City-Nashville, con i giocatori all’oscuro dell’iniziativa delle altre squadre di boicottare le partite) a data da destinarsi.

Non e’ dato sapere quanto il boicottaggio continuera’ e quali giocatori/leghe/franchigie decideranno di proseguire su questa strada. Tutte le leghe professionistiche americane in questo momento rispetteranno qualsiasi scelta di non giocare o boicottare le gare previste, con naturali e possibili ritardi nella conclusione delle stagioni in corso. Una cosa e’ certa: il messaggio e’ stato lanciato e la risonanza che queste decisioni avranno sia sui fan che sui media e’ gia’ storia. L’obiettivo dichiarato dello sport Americano – NBA in primis – e’ che qualcosa venga fatto, e subito. Il fiato e’ sospeso, le distanze cospicue tra bianchi e neri devono essere accorciate e i primi responsabili sono i politici, chiamati a gran voce da tutti gli attori sportivi e non a dare un forte segnale – di giustizia e progresso – che possa calmare le acque e dare un impulso positivo, sia ad un cambio in terra Americana e, nondimeno, al mondo intero.

Perche’ basta che uno, e un solo membro dell’equipaggio non se la senta, e l’intera flotta deve fermarsi. La NBA l’ha dimostrato quando Rudy Gobert fu diagnosticato per primo con il COVID-19, e lo sta dimostrando anche ora, con uno stato d’animo a pezzi per molti dei protagonisti in gioco: la carovana, se serve, si fermera’ ancora. Il Commissioner Adam Silver e’ stato chiaro al riguardo. La NBA, la lega sportiva piu’ multiculturale al mondo, e’, e sempre sara’, a favore dei piu’ deboli e contro qualsiasi forma di discriminazione. E noi di Basketitaly ci uniamo al coro di chi vuole, anzi pretende, rispetto.