Good Luck son of Wind City, see you in the Big Apple. May you will return to fly there!
“Great player. Great teammate. Great son of Chicago. Thank you, Derrick”. Sono le parole che i Chicago Bulls hanno deciso di utilizzare per ufficializzare la trade che ha annunciato la separazione da Derrick Rose ai New York Knicks. Le parole che tutta una comunità attendeva per ringraziare il figlio di Chicago per eccellenza, l’unico a riportare i Bulls vicini al titolo dopo l’era di Michael Jordan. L’unico Bulls in grado di riportare il titolo di Mvp nella città di sua maestà, e che titolo. A soli 22 anni, dopo appena 3 anni dall’arrivo in NBA, Derrick Rose è stato il più giovane ad esserci mai riuscito nella storia di questo sport.
“Devo ringraziare mia madre, Brenda Rose. Il mio cuore, la ragione per cui gioco in questo modo, semplicemente tutto”. Le parole di un ragazzino, nato e cresciuto nel difficile quartiere di Englewood, con il riconoscimento individuale più importante per uno che sogna di fare il giocatore di pallacanestro da grande. Le parole di uno che è stato tenuto lontano dai guai grazie ai sacrifici mamma e fratello e che grida al mondo intero che ce l’ha fatta. Le Lega è ai suoi piedi, il mondo è innamorato di lui e la sua jersey è la più venduta del 2012. Chicago può tornare a sognare. Uno di loro, un bambino cresciuto nei playground di Chicago imitando le movenze di Michael Jordan e Scottie Pippen.
Il peso sulle spalle di Derrick c’è e si sente ma lui non è un tipo da riflettori, è un Mvp atipico. Uno che parla poco, che corre e vola a schiacciare in testa a mezza NBA pur difendendo alla morte. Queste però sono favole, la realtà è bastarda. E infatti uno scellerato 28 aprile del 2012 – con 1 minuto e 22 secondi al termine di Gara-1 del primo turno di Playoffs contro i 76ers, ndr – il ginocchio fa crack e, con il senno del poi, cala il sipario. Un infortunio che spezza le gambe a Rose, il cuore alla gente di Chicago, le possibilità di titolo ai Bulls e lo stomaco a coach Tom Thibodeau reo di aver spremuto fino all’osso il suo prodigio con una media di 36.8 minuti di permanenza in campo dal suo debutto in NBA.
La favola di Derrick Rose e dei suoi Chicago Bulls è giunta al termine. Non (soltanto) per le 132 disputate su 328 nelle ultime 4 stagioni, ma (soprattutto) perché quel peso sulle spalle è aumentato in maniera insostenibile, specialmente per uno come lui che ha catalizzato l’attenzione mondiale con la campagna “The return” di Adidas per poi fermarsi nuovamente a poco dal nastro di partenza. Per uno che dopo esser tornato incisivo ai Playoffs dello scorso anno, si rompe l’osso orbitale dell’occhio sinistro il primo giorno di allenamento della stagione appena conclusa. Troppo. Troppo in una franchigia in ristrutturazione e investita dalla luce dell’astro nascente di Jimmy Butler. E non perché ci fosse un problema di red carpet fra i due, ma perché l’idea di gioco del nuovo coach Fred Hoiberg ha reso difficile la convivenza in campo fra i due. Personalmente non ho mai creduto alle voci che ritraevano Jimmy come l’uomo del “io o lui”. Ho sempre creduto invece che tra i due ci fosse grande rispetto e il post strappalacrime di Butler per salutare il compagno me ne ha dato conferma. “Mi hai aiutato a formare il giocatore che sono oggi. Mi hai insegnato l’etica del lavoro necessaria per eccellere in questa Lega. Sei un leader. Sempre un compagno di squadra ed un amico di supporto. Sarò sempre grato per l’opportunità che ho avuto di giocare insieme a te. So che continuerai ad essere il gran giocatore e leader che sei stato a Chicago”.
A volte bisogna separarsi per tornare ad essere felici. Derrick a Chicago non lo era più e Chicago non lo era più con Derrick. E se gli occhi della tigre non emergono nemmeno in occasione del buzzer beater che stende allo United Center i Cavs di LeBron James, allora c’è qualcosa di irreparabile dentro. Quel qualcosa che ormai rende impossibile tornare a volare. Era allora giunto il momento di andare via. Era allora giunto il momento di ricominciare da un’altra parte. Lontano da casa, lontano dagli sguardi della gente che ti ha visto crescere, ti ha idolatrato e poi non ha più creduto in te.
“La cessione di Derrick è personalmente molto dolorosa – ha detto il patron Jerry Reinsdorf -. Tutti lo conoscono come il ragazzo del posto che è diventato MVP per l’intera città, ma non tutti hanno avuto modo di conoscerlo come ho fatto io. Non è solo un grande giocatore: è anche migliore come persona e ha un grande cuore”.
In attesa di un commento ufficiale da parte sua, Derrick ripartirà da New York. Ripartirà dai Knicks di quel Phil Jackson che rappresenta l’ultimo tassello di una Chicago che ancora crede in lui!
Forza Derrick, in bocca al lupo. Ah… torna a volare!
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