Do You Remember – Il “Praja” Dražen Dalipagić, la macchina da canestri
Sono state scritte tante analisi, tanti approfondimenti, e ogni possibile ricordo su Dražen Dalipagić, un signor giocatore dalla classe sopraffina. Cerchiamo nel nostro piccolo di BasketItaly di fornire un’analisi la più dettagliata possibile sulla sua vita e sulla sua carriera. Perchè il signore in questione è stata una grande macchina da canestri, una mitragliatrice del parquet, un bomber che forse non avrebbe bisogno di presentazioni.
LE ORIGINI DEL MITO
Dražen Dalipagić nasce a Mostar, la città del famosissimo ponte, il 27 novembre 1951 nell’allora Yugoslavia (oggi Bosnia-Erzegovina). Non ha francamente una storia tipica di un grande e giovane talento fin da junior per esplodere nel mondo dei senior soddisfacendo tutte le aspettative… No, perchè all’età in cui i grandissimi della Jugoslavia anni ’70-’80 come Kresimir Cosic, Dragan Kicanovic, Zoran Slavnic, Mirza Delibasic e altri che stavano esplodendo nel basket e ben prima che si unisse a loro e formasse una grande squadra nazionale jugoslava, Dražen Dalipagić stava giocando. .. a calcio, già. Spesso, giocando a pallone con i suoi amici, Drazen venica chiamato con il nomignolo Prajo, in ricordo di Dane Prajo, difensore centrale che negli anni ’60 giocava con il FK Velež Mostar. Quel soprannome è rimasto con lui, e Prajo è cresciuto in Praja.
Sboccia l’amore con la palla a spicchi a 16-17 anni… e cominciò subito a segnare. Già, è strano, quasi grottesco, che un giocatore come Dražen Dalipagić in giovane età non abbia avuto alcuna formazione cestistica. Eppure è così. L’idea che uno dei più grandi giocatori europei di sempre abbia accuratamente evitato qualsiasi forma di basket organizzato giovanile, sorprende. Fatto sta che le sue braccia e le sue gambe non dovettero imparare nulla, se non movimenti di base, fondamentali, a cui si abituò in fretta. Alla fine dell’adolescenza, ci pensavano i massacranti allenamenti jugoslavi a inculcare i fondamentali. Ore e ore di tiri, palleggio, passaggio, difesa, movimento senza palla, costruivano su una base fisica scolpita con roccia i giocatori che dominavano in Europa e nel mondo. E questa attitudine all’allenamento rimaneva nel sangue.
Quindi, il ragazzo divenne presto il miglior giocatore della KK Lokomotiva, la squadra locale di Mostar. E il suo talento lo portò ben presto alla Nazionale della Bosnia-Erzegovina, con la quale, in un torneo amichevole giocato a Zvornik, città bosniaca bagnata dal fiume Drina, letteralmente annichilì da solo la Serbia davanti a Ranko Žeravica, allora CT della Jugoslavia e futuro head-coach del Partizan Belgrado a partire dal 1972 (allenerà in futuro Desio, Napoli e la JuveCaserta in Italia). Zeravica vide in Dalipagic quello che era già noto tra gli scout jugoslavi…tutti volevano firmarlo. Il Partizan precedette la KK Jugoplastika Spalato. Così, alla fine della stagione 1970-71, Dražen Dalipagić firmò il suo primo contratto da professionista con il Partizan. Anche se, Drazen, a dire il vero, ruppe il suo accordo che pre-firmò con la Jugoplastika, e questo costò al giocatore una sospensione di sei mesi dalla federazione bosniaca.
“KIČA I PRAJA– POBEDA DO KRAJA!”
Quando nel 1973, dal Borac Čačak, arrivò un ventenne serbo al Partizan Belgrado di nome Dragan Kicanovic, i bianconeri riuscirono a schierare la coppia più devastante del basket jugoslavo. Kicanovic e Dalipagic divennero così i “KIĆA & PRAJA – Pobeda do kraja!”, tradotto: KIĆA & PRAJA – Vittoria fino alla fine.
Fecero entrambi parte della spedizione spagnola quando la Jugoslavia vinse il suo primo titolo europeo nel 1973 battendo in finale proprio i padroni di casa per 78-67. Praja era uno dei protagonisti del successo jugoslavo. Per tutti gli anni ’70 con il suo Partizan e la sua Nazionale divenne una macchina infermabile vincendo ogni anno un trofeo o una medaglia:
1974: Argento ai Mondiali FIBA a Porto Rico.
1975: Oro ai Giochi del Mediteranneo ad Algeri e Oro a FIBA EuroBasket a Belgrado, entrato nel miglior quintetto della manifestazione continentale.
1976: Argento ai Giochi Olimpici di Montreal, con il Partizan vince la YUBA Liga.
1977: Oro a FIBA EuroBasket in Belgio diventando l’MVP della manifestazione. Eletto miglior giocatore Europeo dell’anno.
1978: Oro ai Mondiali FIBA nelle Filippine diventando l’MVP della manifestazione: in patria vince la Coppa Korać. Eletto miglior giocatore Europeo dell’anno.
1979: Bronzo a FIBA EuroBasket in Italia.
1980: Oro ai Giochi Olimpici di Mosca battendo in finale l’ItalBasket.
Da notare che saltò l’intera stagione 1978-79 per via del servizio militare, obbligatorio nel suo Paese, che non prevedeva la possibilità di entrare nei corpi militari come accadeva in Italia, rimanendo atleti a tutti gli effetti.
Dražen Dalipagić è semplicemente un’assoluta combinazione di forza, rapidità, fiducia e, anche, una grande intesa grazie a Kicanovic che lo forniva di assist speciali per rendere più facili gli alley-oop di Praja. La stampa di Belgrado lo soprannominò per questo “The Sky Jumper”. Con Kresimir Cosic e Zoran “Moka” Slavnić in Nazionale avevano solo bisogno di un quinto uomo per formare un cinque titolare inarrestabile. E il giocatore rimanente era solitamente Zeljko Jerkov, ma avrebbe potuto comodamente giocarsi un solitario con quei compagni lì…
IL PRAJA SBARCA A VENEZIA
E l’Italia? La nostra nazionale guidata da coach Sandro Gamba con Dino Meneghin, Renato Villalta, Marzoratti, Bariviera non riusciva proprio a battere la Yugoslavia in quegli anni. E le squadre del nostro campionato sognavano di ingaggiare questi giocatori “plavi”. Dalipagic era sempre il giustiziere degli Azzurri, in tutte le competizioni, nonostante l’ItalBasket disponeva di uno squadrone per l’epoca.
Il campionato italiano l’ha sognato e concupito a lungo. Già nel 1975 il manager della Pallacanestro Varese Giancarlo Gualco strappò un accordo con Praja per “tentare di sostituire” quel Bob Morse che volle finire gli studi universitari negli USA (solo l’intervento economico del presidente della Mobilgirgi, Giampaolo Girgi, convinse Morse a rientrare a Varese). Ma non si fece nulla, perchè Dalipagic non aveva ancora assolto il servizio militare e questo era ostacolo non sormontabile in quella Yugoslavia. Il rilascio poteva solo avvenire in età non più “fresca”, a 28 anni, così la Nazionale e il Partizan potè sfruttare il giocatore nativo di Mostar.
Ma si arriva nell’estate 1980: il signor Roberto Carrain, figura di spicco del settore alberghiero e grande appassionato di sport, è il Presidente della Reyer Venezia che l’anno precedente fallisce l’assalto alla Serie A1. Nel 1980 la Reyer cambia marchio dopo 7 anni sponsorizzata Canon e diventa Carrera Venezia. Il coach è “Il Paron” Tonino Zorzi, ci sono il figliol prodigo Stefano Gorghetto, capitan Lorenzo Carraro, Gigi Serafini, Fabrizio Della Fiori, Giovanni Grattoni, Luca Silvestrin. Da Treviso arriva un giovane di belle speranze, Andrea Gracis. Poi gli stranieri, devono essere due per regolamento. Arriva quindi Dražen Dalipagić. E’ un colpo a sensazione per la pallacanestro italiana. Ma a Venezia non c’è il tempo per stupirsi che dopo il Praja viene ingaggiato… Spencer Haywood! COME SPENCER HAYWOOD??? Sì, il centro proveniente dai Los Angeles Lakers che litigò con un “certo” Kareem Abdul Jabbar (vincendo il titolo NBA 1980)… ex Seattle SuperSonics, MVP della ABA, 4 volte NBA All-Star.
La notizia manda totalmente in visibilio la città, i media locali e nazionali riversano fiumi d’inchiostro e si scomodano in massa su questa squadra subito definita “stellare” e sulla coppia di stranieri forse più forte mai vista in Italia, forse esagerando, ma neanche tanto… Come se avessimo oggi in Serie A in A2 assieme Bogdan Bogdanovic e Anthony Davis. Paragone azzardato? Ma neanche tanto.
Per l’intera stagione ‘80/’81, il Palasport Arsenale fa registrare il tutto esaurito, ovviamente gli abbonamenti vengono bruciati in un batter d’occhio. E come da preventivo la Reyer non delude, rivelandosi fuori portata per qualsiasi avversario. L’unica squadra in grado di impensierire la corazzata orogranata in A2 è la Superga Mestre di Chuk Jura, che impone alla Carrera il primo stop stagionale dopo nove successi consecutivi. Nonostante le prime bizze di Haywood e la montante incompatibilità caratteriale con Dalipagic – famosa la scena in una partita quando Drazen in un contropiede passò la palla a Haywood facendola rotolare sul parquet (“Così fu costretto almeno a fare la fatica di piegarsi”) – , la squadra guidata da Zorzi detta legge anche in Coppa Korac. E Dalipagic fa registrare come suo solito medie di 30 punti in 35 presenze in campionato con il 60% al tiro, e si ricorda che allora il tiro da tre non esisteva!
Gli orogranata arrivarono quindi alla Finalissima di Coppa Korac 1981 cercando di bissare quanto fatto dalla Arrigoni Rieti divenuta vincitrice l’anno precedente. Al Palau Blaugrana di Barcellona contro la Joventut di Badalona da Venezia sono giunti due voli charter e due pullmann di tifosi. La città si ferma. Ma la delusione, alla fine, sarà traumatica. Un incredibile tiro sulla sirena di Galvin impatta il punteggio. Ai tempi supplementari i catalani hanno la meglio 105-104 e la gioia è solo per i tifosi della Penya.
La sconfitta di Barcellona pesa come un macigno sul finale di stagione. Al primo turno di playoff la Reyer incrocia la Recoaro Forlì e ha la meglio solo in gara-3, violando il parquet romagnolo al termine di una partita tesissima per 75 a 76. Nei quarti di finale la Turisanda Varese di Dino Meneghin chiude la serie 2-0 contro una Reyer ancora provata dalla sconfitta in Korac e condizionata dall’ingestibilità di Haywood (in gara-2 Spencer “festeggia” complice un gran giro di bevute la sera prima).
Dražen Dalipagić, invece, mostrò grande professionalità e dedizione: in gara-1 si infortuna alla caviglia destra, che gli viene ingessata. Ma in vista di gara-2 all’Arsenale, chiama il massaggiatore, si fa togliere il gesso e si fa fascia la caviglia per scendere in campo. Nella prima parte di gara fino a quando il dolore non prenda il sopravvento segnerà 26 punti, poi praticamente immobile in mezzo al campo si dovrà arrendere. Questo è solo un esempio per dimostrare le qualità morali e la voglia di superarsi dell’uomo arrivato da Mostar.
Haywood rimane per la stagione successiva (giocherà solo 5 partite prima di tornarsene negli USA), ma Praja ne ha abbastanza della sua presenza lasciando così Venezia. Dopo che nell’estate 1981 con la sua Nazionale conquista l’Argento ai FIBA EuroBasket in Cecoslovacchia entrando anche nel miglior quintetto della competizione, Drazen “si sfoga” nella stagione 1981-1982 tornando in patria al Partizan Belgrado: sfodera una media inverosimile di 42,9 punti nella YUBA Liga. In un match di Coppa Campioni disputato a Belgrado contro la Squibb Pallacanestro Cantù (poi vincitrice del trofeo), Praja fu il protagonista della vittoria Partizan con 55 punti e 19/20 ai liberi.
Ma dopo un anno al Partizan e un Mondiale FIBA 1985 finito con il bronzo dalla sua Yugoslavia, il Praja decide di fare il salto verso la Spagna, al Real Madrid. Drazen giocò come straniero per la Coppa Campioni. L’esperienza non fu felice per il “nostro protagonista”, perchè si sentiva ingabbiato nel ruolo e poteva disputare poche partite.
Il RITORNO IN ITALIA
Dražen Dalipagić nell’estate 1983 decide di fare il ritorno nel Bel Paese. Andrea Fadini, manager della Gedeco Udine, lo strappa alla concorrenza portandolo in A2. La formazione friulana guidata da coach Lajos Tóth arrivò alla promozione in A1 grazie ai 932 punti in 32 gare di Drazen. Nel 1984 ai Giochi Olimpici di Los Angeles il baffo di Mostar conquista il bronzo con la sua Nazionale, e decide di rimanere anche la stagione successiva in Friuli con la squadra che però cambia sponsor – diventa Australian Udine – . Udine retrocede in A2 con solo 7 vittorie, ma il Praja continua a crivellare la retina come suo solito, 923 punti in 30 partite giocate, media di 30.8 con 49,5 % da tre nel primo campionato nel quale veniva introdotta la linea dai tre punti. L’introduzione della linea dei 6,25 m fece lievitare verso l’alto i bottini personali di Drazen (è stato 15 volte autore di più di 50 punti in una sola partita nel nostro campionato) perchè più ci si allontanava dal ferro, e più era un gioco da ragazzi per lui segnare.
Ecco allora il ritorno a Venezia, nella sua amata città lagunare nell‘estate 1985 (molto tragica per la Reyer perchè il presidente di allora Antonluigi Lelli perì in un incidente automobilistico). Drazen guida la Giomo Venezia di coach Tonino Zorzi con 34.9 punti di media in 33 presenze insieme all’altro straniero, il pivot USA Floyd Allen, dall’A2 alla promozione vincendo il torneo con pieno merito. Intanto nell’Estate 1986 ai Mondiali FIBA in Spagna conquista la medaglia di Bronzo con la sua Yugo, l’ultima medaglia con la sua Nazionale. Che lascia definitivamente dopo 243 partite.
25 GENNAIO 1987, I 70 PUNTI ALLA VIRTUS BOLOGNA
A1 1986-1987. Se ne va Floyd Allen, la Reyer lo sosituisce con un altro pivot slavo, Ratko “Rascio” Radovanović. E Drazen? Il baffone 35enne rimane ovviamente, in una stagione storica per numeri: il Praja (si narra che facesse la ruota di riscaldamento con i guanti nelle giornate più rigide d’inverno) fa totalmente sfracelli segnando 36.5 punti a gara registrando cinquantelli a ripetizione e lottando fino alla fine del torneo con un “certo” Oscar Schmidt per la classifica dei cannonieri. Drazen va quindi a immortalare la più grande dimostrazione balistica della pallacanestro italiana, e lasciamo cortesemente perdere quelle sfoderate contro squadre di carneadi.
Il 25 gennaio 1987, al Palasport Arsenale di Venezia arriva la Virtus Bologna sponsorizzata Dietor. Una squadrone, una corazzata, allenata da una leggenda della pallacanestro italiana come Sandro Gamba con un giovane assistente dal futuro radioso come Ettore Messina. VuNere vicino alla testa della classifica e che puntavano allo Scudetto, la Reyer nella seconda metà per cercare di salvarsi, semplice. Nessun enfasi particolare dei giocatori alla vigilia della partita, ma piuttosto dal pubblico veneziano che incitava i suoi giocatori come sempre fatto. Quindi non c’era assoluta seria preoccupazione da parte della Virtus Bologna affidata a Roberto Brunamonti, Renato Villalta, Augusto “Gus” Binelli, agli USA Marty Byrnes e Greg Stokes. Il Paron, Tonino Zorzi, poteva solo opporre Drazen, i rimbalzi di Radovanovic e poco altro, ma almeno una sola cosa da fare: palla al Praja, poi farà lui. “Nema problema, coach”. Come dicono solitamente i giocatori slavi.
E Drazen gioca una partita quel giorno assolutamente STORICA che passerà agli annali, tanto che i tifosi reyerini pochi giorni dopo affissero una lapide marmorea all’ingresso del Palasport pre tramandare alle future memorie l’incredibile impresa: 4/4 da sotto, 14/19 da fuori, 5/9 da 3punti, 19/19 ai liberi... 70 PUNTI. Non è record, quello è di Sandro Riminucci (77 punti alla DDM La Spezia il 3 maggio 1964) e poi Carlton Myers (87 il 26 gennaio 1995 alla Libertas Udine, ma in A2) farà ancora meglio. Ma quei 70 valgono molto di più perché ottenuti contro una squadra fortissima in una partita equilibrata vinta dalla Reyer per 107-102. Virtualmente da solo, con l’aiuto della buona volontà dei compagni e della sapienza cestistica del suo amicone Ratko, che piazzava blocchi da codice penale. Coach Sandro Gamba – che a metà partita (Praja finì i primi 20 minuti di gioco a quota 40) invitò i suoi giocatori a difendere duro sugli altri avversari perché secondo lui lo slavo sarebbe calato alla distanza – , disse alla fine del match : “Poteva calciare con i piedi e far canestro”.
Alla fine del campionato la Virtus non ci arrivò da campione e la sua discesa dalla vetta iniziò proprio a Venezia. Per il tiro da manuale del Praja, un movimento ormai meccanizzato dall’uso, da scomporre e studiare, pensate che la dirigenza della Dietor spedì tempo prima del match una troupe a Venezia per filmare il capitolo “Il tiro”, di un lavoro didattico destinato ai ragazzi del vivaio. Se non altro, digeriti i 70 punti, ha avuto la consolazione di aver scelto il protagonista ideale! I giornalisti a fine match circondarono anche Tonino Zorzi che, com’era giusto, si coccolava il suo campione: ‘Sembra un paradosso, ma continua a migliorare. Passa meglio la palla, è più altruista. E sta moltissimo in palestra. A tirare, naturalmente”.
E a fine gara si narra che lo stesso Paron abbia chiesto al nostro protagonista: “Drazen, ma perchè ti fermi ancora dopo l’allenamento a tirare?” E lui: “Coach, ma cosa credi, che noi nasciamo con il tiro?” Talento supremo, figlio di una scuola slava che si smarrì nel tempo, Dalipagic riuscì a sintetizzare la classe con l’allenamento maniacale. Il Praja giocatore era così.
LE ULTIME STAGIONI E LA CARRIERA DA ALLENATORE
Stagione 1987-1988, l’allenatore alla Reyer è Petar Skansi, Praja segna 36.3 punti di media con la Hitachi Venezia nel 1987-88 (capocannoniere della Serie A, senza neanche chiederselo), con un record stagionale di 57 alla Scavolini VL Pesaro.
I tifosi di oggi con i capelli bianchi, o i protagonisti in campo, sono stati più volte interrogati su quelle notti: “Implacabile! Inarrestabile! Infermabile!”.
Dopo tre anni a Venezia, la sua ultima stagione italiana fu l’anno successivo alla Glaxo Scaligera Verona in A2, dove nonostante i quasi 38 anni di età realizzò l’incredibile media di 33,8 punti a partita. Storici i 53 realizzati alla seconda giornata contro la Filodoro Brescia in trasferta: 15/23 da due, 0/2 da tre, 23/24 ai tiri liberi, miglior prestazione individuale assoluta di un gialloblù tra Serie A1 e A2. Verona alla fine non riesce nella promozione in A1, così Dražen Dalipagić, abbandona definitivamente il campionato italiano dove ha realizzato la bellezza di 7993 punti in 241 gare, media incredibile di 33.2 punti.
Fu lui stesso ad annunciare il proprio ritiro dalla pallacanestro in un servizio a lui dedicato durante la trasmissione sportiva Dribbling curata dalla Rai, e molti appassionati accolsero con stupore la notizia del suo abbandono.
Nel 1990 tornerà a giocare per la Stella Rossa Belgrado, la KK Crvena zvezda, e quella rimane l’ultima stagione giocata. Diventa allenatore, dal 1992 al 1996 è il coach dell’Unione Ginnastica Goriziana e la conduce in A2 dalla B d’Eccellenza nel 1994. Nel 1997-1998 va ad allenare in Macedonia il K.K. MZT Skopje, poi allena l’Astra Banka Belgrado nel campionato nazionale serbo 2000-2001. Ma di allenare non ha più voglia francamente. E così lascia definitivamente la spicchia.
Viene riconosciuta la sua grandezza internazionale quando viene inserito nella Naismith Memorial Basketball Hall of Fame il 10 settembre 2004.
La FIBA ha fatto lo stesso il 12 settembre 2007.
Nel 2008, per il cinquantesimo anniversario delle competizioni europee per club, è stato inserito dall’EuroLeague nella lista dei 50 personaggi più importanti della storia del basket continentale.
AVE DRAZEN DALIPAGIC
Il Praja vive attualmente a Belgrado e vede il basket da fuori. Gli piace l’EuroLeague, ma, come ha dichiarato in un’intervista a La Gazzetta dello Sport anni fa, “giocatori capaci di segnare 4 canestri da tre di fila non ci sono più”. È tutt’ora membro della Federazione Serba.
Nel 2012 ha fatto il consulente per la “sua” Reyer Venezia visionando i giovani dell’Est Europa. Poi è stato direttore sportivo di alcune umili squadre di Belgrado. E’ stato ospite molte volte negli ultimi anni in occasione della partite casalinghe dell’Umana Reyer e, come scritto da tanti, Venezia sarà sempre casa sua perchè quella più legata dal punto di vista affettivo a Drazen, dove ancora oggi ritorna con molto piacere e viene osannato sempre come un semidio dal popolo lagunare. Oppure, come in occasione delle ultime due trasferte a Belgrado di EuroCup dell’Umana Reyer, ha fatto visita alla squadra orogranata.
Praja ❤️#leggenda #Drazen #Dalipagic #15#7DaysEurocup pic.twitter.com/U7Jdwsdfrc
— Reyer Venezia (@REYER1872) November 4, 2019
Ha avuto due figli, Davorin e Sanja, dall’ex tennista serba Sonja Požeg. Davorin ha seguito le sue orme ed è stato un professionista in Portogallo, Italia (Napoli nel 2006 e Latina nel 2010), Cipro e ha persino giocato per il Partizan per un breve periodo. Ma tranquilli, il peso del suo nome era troppo grande nonostante fosse un bravo giocatore. Perché suo padre era troppo grande e si sa che i genitori spesso sono più forti degli eredi.
E se è vero che tutti i miti sono storie, non tutte le storie sono miti. Tra le storie, i miti occupano un posto speciale. Non lo scordano di certo né i tifosi coi capelli bianchi che lo hanno ammirato, né i giocatori, che purtroppo per loro hanno dovuto marcarlo. Perchè la grandezza di un cestista come Dražen Dalipagić la si riconosceva in passato, e la si riconoscerà sempre.
AVE DRAZEN!
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