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Do you remember? Charlie Yelverton, basket e sax

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Sarà Charlie Yelverton il protagonista della rubrica “Do you Remember” di questa settimana. Abbiamo avuto la fortuna di incrociarlo nell’estate del 2001 durante un clinic per allenatori presieduto da Matteo Boniccioli, allora coach di Udine.
Grande la mia meraviglia, ma ancora più grande quella di Matteo Boniccioli, che gli si avvicinò manifestandosi suo grande tifoso.
Charlie Yelverton, un vero artista del parquet, per chi ha avuto la fortuna di vederlo giocare, aveva doti acrobatiche elevate, dotato di grande elasticità “prendeva l’ascensore“, galleggiava in aria aspettando che l’avversario in marcatura iniziasse al discesa, prima di terminare il suo jump-shot. Era capace di volare, le sue acrobazie, le sue magie ti facevano strabuzzare gli occhi, e poi,

la sua aggressività in fase difensiva era proverbiale; giocava indifferentemente da play, guardia od ala, in pratica un all-around.l
Grande atleta ma anche grande appassionato di musica con il suo mitico sassofono, Charlie Yelverton arrivò nel 1974 in Italia con la Riccadonna ( a quei tempi era facile nel periodo estivo vedere squadre costituite da giocatori statunitensi in cerca di ingaggio, che giravano in lungo e largo la Penisola) e venne ingaggiato da Sandro Gamba per giocare da americano di coppa, per la Coppa dei campioni con Varese.
Yelveron nato a New York il 5 dicembre 1948, dopo aver frequentato la Rice High School e la prestigiosa Fordham University, fu scelto, per venticinquesimo, dai Portand Blazers nel 1971, firmando un contratto biennale. Ma la sua avventura nel basket professionistico statunitense durò solo una stagione. Nel riscaldamento prima della partita con i Phoenix Suns, in segno di protesta per il trattamento che i Blazers avevano riservato ad un suo compagno di squadra Willie Mc Carter, tagliato dal roster per un episodio di indisciplina ad una festa per le celebrazioni pasquali, si siede in mezzo al campo in posizione yoga ed al momento dell’inno nazionale invece di alzarsi e rivolgere lo sguardo alla bandiera statunitense, torna in panchina sfidando il buoncostume dell’NBA. Chiude la stagione con 545 punti realizzati in 69 gare.
L’anno successivo, i Blazers gli fanno capire di non avere necessità delle sue prestazioni, e dopo una breve parentesi in Pennsylvania, nella Scranton Apollos, prepara armi e bagagli e giunge in Grecia, giocando per l’Olimpiakos ma restando talmente deluso da ripartire a stagione finita per gli Stati Uniti.
Tornato a New York, si mantiene suonando il suo inseparabile sax ( Kareem Abdul –Jabbar gliene regalò uno nel 1971 del valore, all’epoca, di 2000 dollari) e guidando il taxi, sino a quando non arriva la chiamata da Sandro Gamba , per giocare come straniero di coppa al fianco di Bob Morse. Con Varese si aggiudica nella stagione 1974-75 la Coppa dei Campioni, vincendo tutte le partite. Nella finale lo squadrone varesino vinse 79 a 66 contro il Real Madrid. In quella partita Yelverton, debilitato dall’influenza non fece un partitone come al suo solito: fu, invece, la partita dell’allora diciannovenne Sergio Rizzi, autore di 13 punti.
L’anno successivo stagione con la Pintinox Brescia, e ritorno a Varese, dove nel 1977-78, il primo anno in cui era possibile schierare due americani in campo, vinse il titolo italiano, a fianco ancora di Bob Morse, battendo la Synudine Bologna in una finale al meglio delle due gare su tre. Nella seconda stagione a Varese, eliminazione in semifinale da parte di Milano, che verrà , a sua volta, sconfitta in finale dalla Synudine Bologna del mitico Cosic.
Terminata la sua carriera professionistica in Svizzera è rientrato in Italia, vive a Miazzina , in provincia di Verbania, dividendosi tra musica, sempre il sax, e basket, istruttore del settore giovanile. A questo proposito c’è da ricordare che “Charlie Sax” in uno dei suoi tanti anni di camp estivi , è stato anche istruttore di Kobe Bryant, quando suo padre Joe militava nel campionato italiano. Yelverton ha ancora un ricordo vivissimo di quella esperienza: “Joe si fidava molto, seguiva molto quel che dicevo, io prendevo la mano di Kobe per fargli capire psicologicamente l’importanza di quel che faceva ogni dito, gli spiegavo l’alfabeto del palleggio, e lui stava attentissimo. Qualche anno dopo, quando Kobe dal liceo è passato direttamente alla Nba, Joe mi ha telefonato per ringraziarmi e mi ha spedito uno scatolone pieno di maglie, scarpe e altri capi dello sponsor tecnico di suo figlio.”
Prova dell’importanza del suo impatto nel mondo del basket è dato dall’inserimento nella “New York City Basketball Hall of Fame”, un riconoscimento per chi ha dato un contributo fondamentale per la crescita e la divulgazione del basket.

 

Massimo Fuiano