Denver – Dove i sogni diventano realtà
Sono rientrata da pochi giorni da Denver, dove ho trascorso una settimana da sogno. L’idea di questo viaggio nel cuore degli Stati Uniti era nata lo scorso autunno, quando, ancora entusiasta per le gesta del nostro Gallo nazionale con la maglietta numero 8 dell’Italia in occasione dell’Eurobasket, dentro di me era cresciuta una smania incredibile di vederlo in azione in
diretta, oltre ovviamente alla voglia di vivere sulla mia pelle le emozioni di una partita NBA dal vivo.
Controllando prezzi e combinazioni dei voli da Barcellona, considerando le possibilità di prendere ferie dal lavoro e pensando anche che una città a 1.600 metri d’altutudine non dev’essere il massimo dell’ospitalità in pieno inverno, con il calendario dei Nuggets in mano questo è stato quanto: dall’1 al 7 marzo, con tre partite in diretta contro Lakers, Nets e Mavericks.
Il biglietto aereo l’avevo prenotato a fine settembre, l’attesa era stata lunga, passando per le insistenti voci di mercato che vedevano Danilo fuori dai Nuggets già prima dell’ultima trade-deadline e poi l’ormai famosa “scavigligliata” di qualche giorno prima della mia partenza, che mi aveva letteralmente gettato sull’orlo della depressione: sei mesi aspettando questo momento e magari non sarei neanche riuscita a incontrare Danilo?
E invece no, ce l’ho fatta! Grazie al capo ufficio stampa dei Denver Nuggets, alla redazione di BasketItaly e all’ufficio stampa di Gallo sono riuscita a incontrarlo proprio nella mia prima mattinata nella Mile High City! Praticamente fino al momento di Denver avevo visto l’aeroporto, il motel dov’ero alloggiata, il Pepsi Center (che si vedeva del motel, giusto dall’altro lato del ponte!), il ristorante messicano lì vicino dove avevo fatto fuori un pollo intero (il giorno prima, a parte le schifezze che mi avevano dato in aereo, non avevo mangiato nulla…) e… Danilo!!
Gentilissimo e disponibile come sempre, usciva dalla palestra dove si era sottoposto a trattamenti per la sua distorsione alla caviglia camminando bene, senza zoppicare neanche un po’. Ho avuto l’occasione di scambiare due parole con lui, nell’intervista pubblicata la settimana scorsa. Primo sogno compiuto quando non mi ero anora compretamente ripresa dal jet lag: la mia avventura in Colorado non poteva iniziare nel migliore dei modi!
La prima sera subito il piatto forte: i Lakers in visita al Pepsi Center, ultima partita di Kobe Bryant a Denver, con tutta la frenesia mediatica che il tour d’addio di Black Mamba si porta dietro a ogni tappa. Ero un po’ spaesata in quella follia, con la sala stampa piena e un sacco di gente correndo da una parte e dall’altra. Ancora una volta il personale dei Nuggets si è dimostrato gentilissimo, facendomi sentire come a casa, e il giornalista locale del Denver Post Chris Dempsey, che già avevo conosciuto in mattinata – un autentico guru per chi segue le gesta della squadra – mi aveva fatto fare un tour istruttivo per tunnel e corridoi del palazzetto che può ospitare fino a quasi 20.000 anime.
Seguendo la mia passione per il basket, avevo visitato diversi palazzetti in precedenza, soprattutto in Spagna, tra cui il Palacio de los Deportes di Madrid, il Buesa Arena di Vitoria o il nuovissimo Gran Canaria Arena di Las Palmas, però l’NBA è tutto un altro mondo! Lo schermo incredibilmente gigante ad altissima risoluzione e l’animazione prima delle partite sono cose che lasciano senza fiato. Uno show di luci, suoni e colori spettacolare e coinvolgente. Ci ho messo un quarto abbondante per smettere di guardarmi in giro e riuscire a concentrarmi sul gioco. E meno male, così mi sono potuta godere un paio di azioni di Kobe, prima che fosse costretto a ritirarsi per infortunio alla spalla.
Per l’occasione c’era quasi il tutto esaurito, con le magliette numero 24 dei Lakers che superavano in numero quelle dei tifosi di casa: Kobe Bryant è proprio un idolo totale. Alla fine vittoria dei Nuggets, coach Malone contento e sorridente nel dopo-partita e facce distese negli spogliatoi.
Eh, già. Gli spogliatoi dei Nuggets, nuovi, bellissimi, che fino a quel momento avevo visto solo in TV… Mi ha messo un po’ di tristezza vedere la postazione numero 8 vuota: le varie magliette di Danilo erano appese al loro posto, le scarpe accuratamente riposte nei cassetti, ma senza padrone. Pazienza, sarà per la prossima volta, il mio obiettivo l’avevo già compiuto, e poi dopo che coach Malone, che avevo conosciuto in mattinata, mi rivolgesse la parola chiamandomi per nome: “Ciao Laura, come va? Piaciuta la partita?” non capivo più niente;
E dopo il primo tuffo nel basket NBA, primo assaggio anche di un’altra delle grandi attrazioni di Denver e dintorni: la birra! Il Colorado vanta infatti più di 70 tra fabbriche di birra e micro birrifici, un record superato solo dal Belgio (già visitato in lungo e in largo, ovviamente!).
Il giorno successivo ho preso parte a un tour di mezza giornata prenotato via Internet per vedere dei luoghi importanti ai piedi delle Montagne Rocciose: la fabbrica della birra Coors (tanto per restare in tema) nella cittadina di Golden, il museo e la tomba di Buffalo Bill e il Red Rocks Park & Amphitheatre, un anfiteatro costruito in una conca naturale dove hanno realizzato concerti le band più famose del mondo del rock, come Beatles o U2, Sting o Bruce Springsteen, insomma: tutti sono passati di lì!
La sera è stata la volta di un’altra grande scoperta: l’hockey su ghiaccio! Sempre al Pepsi Center, sempre strapieno di gente, con la squadra locale, i Colorado Avalanche, che si sta giocando l’accesso ai play-off. Uno sport davvero emozionante, mi ero divertita così tanto che avevo deciso di tornarci anche il sabato, ripetendo poi e assistendo anche a un’entusiasmante partita di lacrosse dei locali Colorado Mammoth.
Venerdì mattina, seguendo l’account Twitter dell’ufficio stampa dei Nuggets e leggendo l’orario di convocatoria dei media per le interviste del dopo allenamento, mi ero presentata lì, così… Nessun problema, mi avevano fatto avere già il pass per la partita della serata, e così mi ero accodata nuovamente a Dempsey e compagnia e seguito le varie interviste, intervenendo anche con una domanda a coach Malone riguardo alla sua opinione sulla partecipazione al pre-olimpico dei giocatori dei Nuggets, alla quale mi aveva risposto con estrema chiarezza e amabilità. Avevo poi anche rivisto Danilo mentre usciva dall’allenamento, sempre carinissimo.
La partita con i Brooklyn Nets, quando avevo prenotato il mio viaggio, avrebbe dovuto essere quella più attesa, in quanto “derby italiano”; e invece niente, con Gallinari infortunato e Bargnani tagliato, era solo la partita della vendetta per la bruciante sconfitta rimediata al Barclays Center con una tripla sulla sirena di Joe Johnson e invece no, la storia si è ripetuta impietosa, con i Nets nuovamente vittoriosi all’ultimo sospriro, questa volta dopo un overtime.
La cosa che ricordo con più piacere dei pre-partita degli incontri con Nets e quello di domenica con i Mavs sono le “tavole rotonde” con i giornalisti locali. Senza più la confusione provocata da Kobe, c’era molta meno gente in sala stampa, e Dempsey mi aveva invitata ad accomodarmi insieme con altri giornalisti locali che conoscevo grazie a Twitter e che seguivo da tempo per leggere opinioni differenti sulla squadra. Tutti ragazzi estremamente cordiali e simpatici, che mi hanno coinvolta nelle loro discussioni come se fossi stata una di loro da sempre.
Le due partite con Nets e Mavericks le ho infatti seguite con loro, potendo anche scambiare commenti e tweets in diretta.
La vittoria ottenuta dai Nuggets contro i Dallas Mavericks è stata memorabile: in rimonta, con canestri impossibili, un altro overtime, ma alla fine i giovani Nuggets sono riusciti ad avere la meglio su un impeccabile Dirk Nowizki e compagni.
Malone in sala stampa era radiante, orgoglioso dei suoi rookie che crescono a vista d’occhio: Emmanuel Mudiay, Nikola Jokić e il sophomore Gary Harris sono le sensazioni dell’anno, che fanno sì che l’ambiente che aleggia intorno alla squadra, nonostante il record negativo e la quasi impossiblità di raggiungere i play-off quest’anno, sia comunque carico d’ottimismo e buone sensazioni.
Innanzitutto il clima che si respira è quello di un gruppo unito, un gruppo di persone, prima che di giocatori, che si rispettano e aiutano a vicenda; niente a che vedere con l’aria pesante che – secondo le voci – aleggiava l’anno prima con il cambio di allenatore o giocatori come Ty Lawson, recentemente saltati alle cronache per fatti extra-sportivi.
Non c’è dubbio che il nostro Danilo Gallinari, con la sua allegria, il suo ottimismo contagioso, e le sue doti naturali di leader motivatore, sia una delle chiavi di questa trasformazione all’interno dei Nuggets, insieme con l’estrema umanità di Michael Malone. Dopo aver vissuto una settimana a Denver a tu per tu con la squadra, l’ambiente e la città, capisco benissimo perché l’attuale miglior giocatore italiano abbia più volte professato il suo amore verso la franchigia del Colorado e voglia a tutti i costi vincere qualcosa, e vincerlo con Denver.
Dopo tutto quello che ho sperimentato e vissuto, io ci credo: Denver è un posto da sogno, e dove i sogni diventano realtà!