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“Anyone can be Bruno Cerella” o almeno è quello che ci piace credere

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CerellaQuesta settimana, a sorpresa e col solito clamore mediatico, è uscito il nuovo disco dei Radiohead. Quando Thom Yorke e soci erano ancora lontani dalle derive sperimentali recenti facevano dischi come “Pablo Honey”. In quel lavoro d’esordio compariva anche una canzone dal titolo provocante ma quasi motivazionale: “Anyone can play guitar”. Sull’effettiva veridicità dell’assunto possiamo dissentire ma, il fatto che te lo dicessero gli autori della prima canzone inglese che imparasti a cantare “davvero” (Creep), aiutava a non perderti d’animo.

In settimana Bruno Cerella è stato inserito nella lista dei 24 pre-convocati al torneo con cui, si spera, di staccare un difficilissimo pass per l’Olimpiade di Rio. Realisticamente le possibilità che il giocatore di Milano possa restare nei 12 finali sono molto bassi ma già la sua chiamata è un qualcosa di bello, aldilà dei discorsi tecnici.


Si fa un gran parlare di quei giocatori che, grazie al proprio fisico normale, finiscano per creare una immediata empatia con il pubblico. Bruno Cerella è alto 1,94 e pesa 93 chili, non è Shaq ma i motivi per cui sia percepito dall’esterno come “l’amico che ce l’ha fatta” non sono esattamente da ricercare nella sua struttura fisica.
Se sentivamo vicini da questa parte dell’ Oceano Iverson o Bogues ed oggi Thomas e in parte Curry, era unicamente per quel corpo “normale”. Non condividiamo, almeno la gran parte di noi, il background di Steph (cresciuto in una villa un po’ più dotata di confort del nostro appartamento in un condominio). Né condividiamo, fortunatamente, l’infanzia e l’adolescenza con “The Answer”.Con Cerella è diverso.
Cerella in campo e fuori sembra sempre il nostro portavoce. Cerella fa quello che presumibilmente vorresti fare tu se fossi in campo. Cerella ti fa credere in quei minuti che gioca che “Anyone can play basketball” e, questa promessa illusoria, placa la delusione del giocatore frustrato che è presente in tanti di noi appassionati e/o addetti ai lavori.
Cerella ci mette l’anima e sei pronto a perdonarlo per gli errori perché sai che li ha fatti a fin di bene. E’ come quando tua madre o la tua fidanzata ti prepara i biscotti: magari non sono usciti tutti perfetti ma apprezzi la fatica e il tempo che gli sono costati. In più spesso i biscotti della tua mamma/fidanzata anche se non hanno una “buena pinta” direbbero quelli di madrelingua spagnoli, sono spesso e volentieri più buoni. Un po’ come le giocate di Cerella: potremmo aggrapparci allo stile con cui fa le sue giocate per criticarlo ma sicuramente non potremmo mai questionare sulla loro effettiva efficacia ed utilità in campo.

Il ragazzo di Bahia Blanca, la città dei Pepe Sanchez e dei Ginobili, è il role model possibile anche fuori dal parquet. Siamo orgogliosi di utilizzare questo spazio per fare pubblicità alla sua associazione “Slums Dunk”, che aiuta i bambini in difficoltà di diverse parti del mondo. Cerella è quello che mette il 7 per ricordare l’ex compagno nella bella stagione a Casalpusterlengo, anche se oggi calca i palcoscenici dell’Eurolega. Ha una fidanzata cui è fedele nonostante le orde di fan del gentil sesso che si porta dietro dai trascorsi teramani (e qui imitarne il comportamento risulterebbe più difficile per chi scrive se fosse “nelle sue scarpe”) ed è quello che ha la stessa passione per quello che fa anche ora che, ragionevolmente, gli dà pressioni diverse.

La famosa finale di Coppa Italia, quella del recupero lampo post operazione cui seguirono gli inevitabili due giorni di vendetta da parte di quel corpo sfruttato al massimo, è il manifesto programmatico di Bruno Cerella. Magari l’argentino di origini abruzzesi non andrà a Rio se non in vacanza, magari ci andrà perché a livello di leadership e di difesa male non avrebbe fatto contro i Maciulis di questo mondo già all’Europeo con minutaggio limitato. La sua convocazione sarebbe un’altra dimostrazione, un altro regalo per noi. In fondo non ci siamo mai stancati di farci dire che “Anyone can play basketball”, anche se il 2/12 messo insieme ieri sera inviterebbe al realismo. D’altronde meglio una bugia a fin di bene che una verità svelata per farci male.