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Ti(m) racconto Duncan: Elogio di un campione infinito

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spurs-threeTim Duncan ha probabilmente fatto il bagno nella piscina di “Cocoon” ed è eterno, si sussurra in Texas.Tim Duncan è l’uomo che ha il record di doppie doppie e di minuti giocati quando conta, nei playoff. Tim Duncan è l’uomo che in 17 anni di Nba non ha mai mancato un appuntamento ai playoff ma soprattutto Tim Duncan è un vincente: quella mano con un anello per dito e lì a testimoniarlo.

Ridurre però la carriera del 21 neroargento ai numeri, alle statistiche è riduttivo: significa guardare solo una faccia della medaglia. Tim Duncan è un pò il Forrest Gump degli ultimi quasi due decenni di Nba. Mentre i campioni andavano e venivano, cambiavano gli allenatori e persino le franchigie scomparivano o cambiavano nome lui era lì, con la sua canotta numero 21 a garantire sempre il top in campo, un incrollabile certezza nella lega, e in generale nella nazione, dove il cambiamento è sempre tanto repentino da lasciarti dietro se non stai al passo. Duncan è stato sempre al passo e questo gli ha permesso, come Forrest Gump appunto, di attraversare tante “epoche” della Nba e di arrivare nel 2014 a prendere un altro anello, l’ennesimo.

Uno dei più bei libri sul basket a stelle è strisce ha un titolo anonimo: “The book of Basketball” e l’autore è il bostoniano Bill Simmons. Nel libro, di cui urge una traduzione italiana al più presto, c’è la sezione “What if”, ovvero “cosa sarebbe successo se…”. Facendo lo stesso giochino immaginate cosa sarebbe successo se coach Pop non avesse resistito alle lusinghe di Pitino, allora coach proprio dei biancoverdi, pronto a sacrificare forse anche il Museum of Fine Arts pur di portare ai Celtics quella prima scelta al draft. La storia di San Antonio, di Duncan, di Popovich, dei Celtics e della Nba in generale sarebbe cambiata sicuramente.

In realtà però la prima svolta nella vita,sportiva e non solo, dell’omone di St. Croix era stata un’altra ed era stata influenzata da due eventi tragici. Tim Duncan era una promessa del nuoto: era bravo, veloce. Hugo, con quel nome che non assoceresti mai a una terribile catastrofe, spazzò letteralmente via i sogni di gloria in piscina di Tim. A quattordici anni la prematura scomparsa della madre che aveva avvicinato Tim al nuoto farà il resto portando Duncan a scegliere la palla a spicchi. Da lì sarà un’ascesa: Ottimo a Wake Forest, dove arriverà anche una laurea in psicologia, ai fasti con gli speroni, dove risorgerà più di una volta dopo essere stato dato per finito.

Duncan si è evoluto dall’essere una delle “Twin Towers” del primo titolo, ad essere il centro degli Spurs “da corsa” di oggi. Lui però non è cambiato: nelle vittorie, nelle sconfitte sempre lo stesso viso, la stessa maschera dietro cui nascondere tante, forse troppe emozioni, e in questo forse la laurea in psicologia ha aiutato più di tanti allenamenti.

TD non sarà mai Shaq, non sarà mai Mj caratterialmente. E’ difficile immaginarselo eroe dei bambini con il sorriso piacione in un altro “Space Jam”. Duncan lo vedresti meglio in un film oscuro tipo “Drive”, nei panni dell’eroe silenzioso e letale interpretato da Ryan Gosling.

Oggi stiamo parlando, ma siamo già pronti ad essere smentiti, dell’ultimo capitolo della saga di Duncan. Una gamba si dica sia messa maluccio e stavolta neanche i maghi a Dusseldorf sembrano essere in grado di fare l’ennesima magia. L’erede pare anche esserci già: il Kawahi Leonard Mvp delle finali sembra un pò la sua naturale evoluzione: poche chiacchiere e tanti fatti ed una parabola personale simile con Kawhi che ha perso da adolecente il padre. Troppe volte però ci eravamo rassegnati ai titoli di coda per lui e per gli Spurs salvo poi applaudire ammirati all’ennesima rinascita dell’araba fenice texana, quindi non vi stupite troppo se l’anno prossimo dovreste trovarvi ancora la rassicurante presenza di Timmy sotto canestro, quasi si fosse fermato il tempo, l’ennesimo remake di una delle saghe più di successo nello sport americano.