La vita è imprevedibile e spesso può rivelarsi crudele. È questo il caso di Kobe Bryant, che esattamente due anni fa, il 26 gennaio 2020, perse la vita in un incidente aereo a bordo del suo elicottero privato insieme alla figlia Gianna Maria, per tutti “Gigi”, ed altre sette persone: John Altobelli, Keri Altobelli, Alyssa Altobelli, Christina Mauser, Sarah Chester, Payton Chester ed il pilota Ara Zobayan.
Ci lasciava dunque improvvisamente, a soli 41 anni, uno dei giocatori più illustri della storia del basket, un vero e proprio amante del gioco, nonché un padre di famiglia, alla quale si era interamente dedicato dopo il ritiro avvenuto nel 2016.
La notizia della morte di Kobe sconvolse il mondo intero, non solo quello sportivo, tant’è che ognuno di noi, a due anni di distanza, è ancora in grado di ricordare dove si trovava e cosa stava facendo nel momento in cui è venuto a conoscenza della terribile tragedia.
Non è facile descrivere a parole ciò che Bryant ha significato per la pallacanestro e per i suoi appassionati, anzi, potrebbe essere riduttivo. Kobe ha fatto avvicinare tantissimi ragazzini a questo sport, facendo scoprire ad alcuni di loro un mondo ancora totalmente inesplorato, regalando emozioni, trasmettendo l’etica del lavoro e del sacrificio che tanto lo hanno contraddistinto nel corso della sua carriera, influenzando una generazione che non ha avuto la possibilità di ammirare Michael Jordan nel suo prime e che non aveva ancora conosciuto LeBron James, diventando così un esempio e un’ispirazione per ogni ragazzino che abbia mai preso in mano una palla a spicchi in quegli anni.
I cinque titoli vinti in carriera da Bryant sono la perfetta dimostrazione di quanto l’impegno possa produrre risultati e di quanto il talento, unito al sudore e alla fatica, possa regalare soddisfazioni indelebili. Il soprannome “Black Mamba”, affiliatoli nel corso della carriera, rispecchiava perfettamente quella che era l’indole di Kobe, ovvero quella di un vincente, che ogni sera, per vent’anni, ha messo piede in campo con l’unico obiettivo di ottenere una vittoria, colpendo gli avversari con il suo morso killer.
È un arduo compito, se non impossibile, anche quello di racchiudere in pochi momenti clou la carriera di Bryant. Ognuno ha il proprio ricordo personale, che siano gli 81 punti segnati contro i Toronto Raptors, il tiro libero tentato nonostante il tendine d’Achille rotto nel 2013, il duo con Shaquille O’Neill, i successi olimpici con Team USA, l’ultimo titolo vinto nel 2010 o il primo nel 2000, o ancora gli iconici 60 punti segnati nell’ultima gara della carriera contro gli Utah Jazz, quando tutto il mondo stava osservando solo lui sul parquet dello Staples Center, come se fosse il protagonista di un racconto hollywoodiano. La stessa Hollywood che Kobe aveva conquistato con la vittoria del premio Oscar grazie a “Dear Basketball”, ovvero la lettera con cui aveva annunciato l’addio alla pallacanestro, che per l’occasione era diventata un cortometraggio animato. A dimostrazione che Kobe Bryant era un vincente non solo sul campo da basket, ma anche al di fuori, in tutto quello che faceva.
Per noi italiani è innegabile che Bryant abbia sempre avuto un posto speciale nei nostri cuori, considerato il suo passato cosi fortemente legato al nostro Paese. L’infanzia passata tra Rieti, Reggio Calabria, Pistoia ed infine Reggio Emilia, dove dopo la sua morte gli è stata dedicata una piazza.
La stessa Italia non ha mai smesso di persistere nella vita di Kobe, neppure una volta tornato negli States dopo il ritiro del padre dal basket giocato o una volta diventato uno dei giocatori più forti della storia. Parlava italiano perfettamente e lo continuava ad utilizzare quando incontrava i nostri connazionali in giro per il mondo o sui parquet di gioco, ma anche la notte della premiazione degli Oscar, quando ringraziò la sua famiglia in italiano con la celebre frase “Ti amo con tutto il mio cuore”. Per le figlie aveva scelto quattro nomi italiani (Gianna-Maria, Natalia, Bianca e Capri), era un grande tifoso del Milan e spesso tornava in vacanza nel nostro Paese durante la off season.
A due anni di distanza dal tragico evento è ancora difficile realizzare ciò che è successo. È difficile pensare che sia la realtà e non un incubo da cui risvegliarsi presto. Non a Kobe. Non al giocatore che ha conquistato milioni di appassionati in tutto il mondo con le sue incredibili giocate sui parquet NBA. Non ad un padre di famiglia, che ha dovuto prematuramente abbandonare moglie e figlie. Non ad un padre che ha visto la propria vita finire accanto alla sua bambina di soli 13 anni. Non così. Non in queste orribili circostanze. Ma la vita è anche questa, ingiusta e imprevedibile.
Oggi, due anni dopo il tragico evento, il basket ed il mondo intero manderà un pensiero speciale a Kobe, a Gianna e a tutte le vittime che non saranno mai dimenticate, perché heroes come and go, but legends are forever.