Marco Belinelli: “Razzismo problema sociale. Lo sport ha un potere enorme, i confini non esistono più”
Marco Belinelli, guardia NBA attualmente ai San Antonio Spurs, è stato intervistato da Il Corriere della Sera. Argomenti principali il boicottaggio delle gare NBA e la protesta dei diritti civili degli afroamericani. Un estratto delle sue dichiarazioni.
“Un boicottaggio simile non c’era mai stato prima. Solo Bill Russel nel ’61, ma era tutt’altra cosa. Vista dall’Italia, magari è difficilmente comprensibile, ma dalla bolla è tutto molto più chiaro. La questione è davvero pesante.”
Giocare nella bolla di Orlando.
“Cosa ho scoperto? Niente di più di quello che già sapevo vivendo in America. Ma con calma le cose si vedono più chiaramente. Gioco in Nba da 13 anni e vorrei continuare a farlo. Essere un giocatore mi ha permesso di conoscere realtà molto diverse. Poi vedi certe immagini, leggi di certi episodi, e ti rendi conto che tutto è molto diverso da come lo vedi da lontano. Per esempio, alcuni miei compagni mi hanno raccontato di episodi di cui sono stati protagonisti loro malgrado. E solo a causa del colore della loro pelle. Ed essere stelle del basket non li ha aiutati”
I rapporti con la polizia.
“Sono racconti privati, quindi non starò qui a spiegarli. Però capisco perché se sei afroamericano hai paura della polizia. Ci nasci, con la paura della polizia. E noi bianchi non possiamo capirlo. Chi non è nero non è in grado di comprendere davvero quello che hanno sofferto. E che stanno soffrendo ancora”
NBA e politica.
“Credo che lo sport abbia un potere enorme. Noi atleti dobbiamo essere i primi ad amplificare certe storture attraverso le nostre piattaforme. I confini non esistono più. Lo abbiamo visto con George Floyd, quando tutto il mondo si è inginocchiato. Un poliziotto che spara nel Wisconsin è anche un problema nostro, non solo del Wisconsin. Noi sportivi abbiamo un peso: dobbiamo sfruttarlo”
Il razzismo.
“Non è un problema politico ma sociale. Non possiamo coprirci gli occhi e fare finta che non accada nulla. Ci sono cose più importanti di una partita di basket. Mai e poi mai mi sono imbattuto nel razzismo in 13 anni di NBA. A compagni e avversari interessa solo come giochi, non di che colore hai la pelle. Le differenze in campo le fa il talento. L’unico razzismo che vedo è: sai giocare o non sai giocare”