Ettore Messina: “Kobe Bryant è stato un superuomo. Campionato in salute, ma a 14 squadre…”
Sul settimanale Sportweek lunga intervista a Ettore Messina, coach dell’A|X Armani Exchange Olimpia Milano, al quale è dedicata anche la copertina dell’inserto de La Gazzetta dello Sport.
Tra i tanti temi toccati, anche alcuni relativi allo stato e al futuro del basket italiano. Un estratto delle sue dichiarazioni.
Giovedì 13 febbraio cominciano le F8 di Coppa Italia a Pesaro. Coach Messina detiene il record di vittorie con 7 edizioni conquistate. “Ricordi paleolitici, ma sempre piacevoli. E so benissimo che nessun risultato è scontato. Nel 2001, l’anno in cui vincemmo tutto con la Virtus, rischiammo di uscire subito alla prima partita. Superammo Biella ai supplementari. Poi abbiamo vinto Coppa, scudetto ed EuroLega…”
Il valore della Coppa Italia. “Per una squadra come Milano ogni trofeo è importante. La Final Eight resta un grande appuntamento. Dà una prima graduatoria di metà stagione e porta spesso risultati a sorpresa. Vale così tanto che anche l’NBA sta pensando a un evento di metà stagione stile Coppa Italia o Coppa del Re. Si gioca a Pesaro, piazza importante per il basket, mi aspetto un bel clima.”
Come ha ritrovato il basket italiano. “Sono stato negli States per 5 anni e mi arrivavano solo lamentele e tristezze. Mi sembrava che il basket italiano fosse alla deriva. E invece ho trovato un campionato in salute, di buonissima qualità tecnica, palazzetti pieni e squadre avversarle mediamente ben organizzate”.
Su Kobe Bryant, Messina era nello staff tecnico di Mike Brown ai Los Angeles Lakers. “Andavo in palestra con Kobe… Era un tipo straordinario per qualità umane e tecniche, e nei miei confronti aveva sempre dimostrato disponibilità e affetto. Con me parlava in italiano e passava all’inglese soltanto quando voleva essere sicuro di spiegarsi bene. Come la gente ricorda dov’era quando hanno assassinato Kennedy, quando hanno rapito Moro o quando sono crollate le Torri Gemelle, io ricorderò per sempre quando mi hanno detto di Kobe. Ero con la squadra sul pullman che ci stava portando da Trieste a Ronchi dei Legionari, quando uno dopo l’altro i ragazzi che sono sempre connessi via telefonino, mi hanno detto: ‘Coach, sarebbe morto Kobe Bryant.’ Kobe? Il mio Kobe? Quello della maglia autografata che mio figlio ha nella sua stanza? Non poteva essere possibile. Non doveva essere possibile…”
Che eredità lascia Kobe Bryant. “Aveva un talento enorme e lo aveva messo a disposizione del suo impegno ossessivo. Lui non aveva giorno libero. Lavorava con puntiglio per migliorare ogni dettaglio e non era mai convinto di aver mai fatto abbastanza. Lui voleva essere il migliore. E aveva anche una grande testa. Come campione di basket è stato un superuomo.”
Su che futuro vede per la politica del basket italiano. “Spero che sia finito il tempo dei conflitti autolesionistici. Troppe volle siamo noi italiani a non credere e non vedere gli sviluppi positivi del nostro basket. Ho stima e buoni rapporti con Petrucci e per la Lega non credo all’illusione dell’uomo forte. Spero invece che i club capiscano che è venuto il momento per remare tutti dalla stessa parte. Abbiamo finalmente molte società sane, palazzetti pieni e uno spettacolo di qualità”.
Sul numero giusto per la Serie A. “Se negli Stati Uniti, che è il Paese più ricco del mondo c’è spazio per 30 formazioni professionistiche, io credo in Italia il numero giusto sia tra 14 e 16. Forse più 14.”