ESCLUSIVA – Markoishvili racconta la sua Cantù: “L’Nba? Un sogno, ma adesso penso solo a fare il massimo con questa maglia”
Se oggi chiedeste a uno qualsiasi degli allenatori di Serie A di fare i nomi dei tre giocatori più forti del campionato, quello di Manuchar Markoishvili sarebbe certamente tra questi. Abbiamo incontrato la guardia della chebolletta Cantù al termine della seduta di allenamento del pomeriggio, per parlare della stagione in corso e del momento che sta vivendo la squadra, con qualche spunto sulla sua lunga – nonostante i soli 26 anni – e prestigiosa carriera.
Manu, innanzi tutto grazie per la tua disponibilità per questa nostra intervista. Cominciamo con un bilancio di questa prima parte di stagione: «Sicuramente raggiungere il primo obiettivo stagionale, che era la SuperCoppa ci ha dato una grande spinta. Subito dopo abbiamo giocato i Q-Rounds di Eurolega e anche questa vittoria ci ha aiutato mentalmente, essendo una squadra nuova che aveva bisogno di fiducia subito dall’inizio.
Alla fine purtroppo non ci siamo qualificati per le Top 16, non siamo riusciti a vincere le partite chiave, quelle contro l’Olimpija Lubiana che hanno pesato tantissimo. In campionato dopo il girone di andata non posso dire di essere soddisfatto, però siamo tra le prime quattro, a contatto con le altre e pensiamo di poter crescere per fare meglio nella seconda parte»
Confrontando le tue cifre con le stagioni precedenti, quest’anno giochi più minuti, prendi più tiri, tiri meglio da tre, distribuisci più assist, ma la cosa più evidente è il passo avanti come leadership e responsabilità. Come ti trovi in questo ruolo, sia tecnicamente che emotivamente?: «Ma, prima di tutto non ho guardato le statistiche di quest’anno. Come dici tu i numeri sono buoni, però siamo a metà stagione, c’è ancora tanta strada da fare. I confronti con le stagioni precedenti si fanno alla fine. Invece sulle responsabilità da prendere e giocare più minuti, questo è importante, perché essere in campo nei momenti difficili o nei finali punto a punto è la cosa che mi dà più soddisfazione rispetto a quanti punti segno. »
Nelle ultime 4 partite, partendo dalla panchina hai 17 punti di media con 11/18 da tre. Come ha detto Trinchieri non è da tutti accettare una cosa del genere, tu sei riuscito a migliorare ulteriormente. Per te cosa significa entrare a partita iniziata?: «Non è una novità, anche negli anni scorsi mi è capitato di partire dalla panchina, però magari non entravo con la stessa mentalità di adesso. Ora cerco di essere più aggressivo, di capire cosa serve alla squadra in quel momento, non intendo solo segnare, ma giocare in difesa, rimbalzi, assist, insomma fare le cose giuste per avere un impatto sulla partita»
L’impressione è che la squadra abbia un grande potenziale offensivo e una varietà di soluzioni molto ampia. A Milano, per esempio, l’avete vinta nell’ultimo quarto con isolamenti e 1vs1 su un quarto di campo. Cos’è cambiato nel cosiddetto “sistema” rispetto alle stagioni precedenti?: «Il sistema si basa più o meno sugli stessi principi, cioè condividere la palla, però negli ultimi secondi sappiamo essere più aggressivi, sappiamo che in quel momento bisogna finire il gioco quindi penso che abbiamo più mentalità per segnare»
Credi che questo a volte vi porti a fermare un po’ la palla: «A volte questo succede, perché gli altri si preparano contro di noi per non darci libertà di muovere la palla come vogliamo. Ci sono momenti delle partite in cui succede, però abbiamo tante alternative per riuscire ad eseguire i nostri giochi»
Prendendo spunto dalle considerazioni di Trinchieri dopo la partita con la Virtus, qual è la differenza nell’affrontare partite come il derby, dove si è visto dalle facce in campo e a fine partita quanto ci tenevate e partite “normali”, come Domenica, dove all’inizio è mancata – parole del coach – “la concentrazione giusta per fare le piccole cose”? «In teoria non dovrebbe essere diverso, però magari abbiamo pensato di vincere la partita con meno fatica, perché contro le grandi come cerchi ad ogni possesso di dare il massimo per segnare o trovare un tiro migliore. E’ un fatto di mentalità: con Bologna, vedendo l’assenza di Minard e Hasbrouck, ci siamo un po’ rilassati, ma abbiamo capito abbastanza presto che non era così facile e che loro sono una buona squadra con giovani talenti, una squadra da rispettare»
Considerando gli obiettivi stagionali (che non nominiamo per scaramanzia…) qual è la squadra più competitiva, quella (o quelle) che vi può mettere più in difficoltà per caratteristiche tecniche e fisiche? «No, non penso in questi termini. Secondo me ogni squadra che viene a giocare contro di noi, viene con la voglia di batterci, magari con più leggerezza, perché siamo una buona squadra negli ultimi anni, sempre vicina ai nostri obiettivi. Quindi io direi che ognuno gioca contro di noi con grande motivazione e grande libertà per fare una buona partita. Vedi ad esempio Sassari-Siena di ieri sera (Lunedì, ndr): capitano partite così…ci sono tante buonissime squadre che possono essere concorrenti pericolose»
Spesso ti vediamo difendere sull’avversario più pericoloso. Il giocatore più forte che ti è capitato di marcare? «Mah… difficile da dire, non mi ritengo uno dei migliori difensori che può marcare tutti con facilità. Non posso dire se uno sia più difficile dell’altro, però se guardo i nomi ci sono tanti giocatori con anni di esperienza in Eurolega e che hanno vinto tanto… un po’ di fatica me l’hanno fatta fare…E lo stesso discorso vale per il campionato, ci sono tanti giocatori, come quelli di Milano o Siena che non sono male»
Manu, una domanda semi-seria sul tuo rapporto con Trinchieri: spesso sei quello più “cazziato” dal coach, ma se deve spendere una parola per elogiare un singolo, 9 volte su 10 fa il tuo nome… «Forse prima era così – ride Manu – adesso è cambiato tanto il coach… No, quello che succede in campo rimane sempre in campo, ma posso dire che abbiamo un buonissimo rapporto anche fuori dal campo e poi secondo me è giusto… Non voglio dire tanto, ma se io fossi allenatore un giorno, magari farei la stessa cosa…»
Raccontaci un po’ la tua storia personale: hai iniziato a giocare in squadre professionistiche a 15 anni non ancora compiuti. A 16 esordivi in Eurolega con la Benetton di Messina, il che ha voluto dire lasciare il tuo paese, la tua famiglia: una scelta di vita con tante soddisfazioni, ma anche tanti sacrifici. Cosa ha significato per te sul piano umano? «Si, questa è stata una cosa difficilissima, perché quando ho avuto la possibilità di venire a giocare in Italia sono stato contentissimo. E’ sempre stato il mio sogno partire dal mio paese il più presto possibile, perché lì fino a un certo livello puoi arrivare a imparare tanto, però se si parla di campionato maggiore siamo un po’ in ritardo. Quindi quando ho ricevuto questa offerta non vedevo l’ora, però quando sono arrivato e ho realizzato che tutto l’anno dovevo stare da solo a quell’età, senza famiglia, senza amici…non è stato facile, ma sapevo sempre qual era il mio obiettivo e avevo la motivazione di riuscire a giocare il miglior basket possibile»
Domanda che di questi tempi è quasi “d’obbligo”: tanti parlano di Nba per te, da coach Peterson al tuo ex-compagno Greg Brunner, che dopo il derby ha twittato “tifosi italiani godetevi Manuchar Markoishvili adesso, perché l’anno prossimo lo vedrete su NbaTv”… «Davvero Greg ha twittato questo? – chiede Manu tra il sorpreso e il divertito – Non l’avevo visto… Sì, me lo chiedono tanto, però io non ho questa risposta. Il sogno è sempre rimasto, poi quando passano gli anni magari va un po’ indietro, lo metti, come dire, nel bagaglio perché non è vicino da realizzare. Per adesso non ci penso, perché per me è molto, molto importante finire questa stagione nella maniera migliore, quindi non sto considerando di cercare qualcosa per il futuro. E’ un sogno grandissimo, anche per andare solo ad applaudire qualcun altro… – scherza – Mi piacerebbe vedere quel mondo, però bisogna essere davvero molto bravi»
Facciamo un salto al di fuori del basket giocato. Voi avete fatto un bellissimo calendario insieme ai bambini down dell’associazione Down.verso. E’ stata la prima occasione per te di avvicinarti a queste realtà? «No, non è il primo contatto, come Pallacanestro Cantù siamo in collegamento con la Briantea 84 (associazione del territorio canturino che promuove lo sport tra i giovani, con particolare riguardo a persone con disabilità, ndr) per cui da quando sono qui ogni anno andiamo a vedere le loro partite, facciamo iniziative insieme. E’ bellissimo, perché nel mio paese queste cose mancano, da noi quasi non vedi questi bambini, perché purtroppo sono chiusi in casa, non hanno così tante possibilità come qui in Italia o in Europa. Quando siamo stati vicini a loro ho capito che questo problema esiste anche da noi e mi è venuta voglia di aiutare in qualche maniera, anche se adesso che sono lontano è un po’ difficile. Però è stata una bellissima esperienza e quando li incontri capisci che sono persone veramente particolari e brave».
Salutiamo Manu con l’impressione di aver parlato con un campione davvero modesto – e non è la solita frase di circostanza – che crede nel valore del lavoro duro, avendolo provato in prima persona, per raggiungere i propri obiettivi, senza sentirsi mai “arrivato”, anzi avendo sempre nel proprio orizzonte l’idea di potersi migliorare giorno per giorno.
Stefano Mocerino
© BasketItaly.it – Riproduzione riservata