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Messina: “Se tutto va come deve continuerò con la nazionale. Senza coppe i giocatori non crescono”

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Messina Ettore 2-10-2016

Lunga intervista di Repubblica al coach Ettore Messina, interrogato sul suo futuro con la nazionale, sulla crescita dei giovani e sul campionato italiano

Dobbiamo chiamarla ancora ct?
«Fino al 30 settembre scorso, sì. Ma anche dopo, direi, se tutto va come deve».
Non pareva scontato che andasse avanti con la Nazionale.
«L’idea è farlo. Ma devo aver prima l’okay del mio club, i San Antonio Spurs, alla luce pure degli impegni di Gregg Popovich, il mio capo. Se loro sono d’accordo, un attimo dopo mi metto a un tavolo con la federazione, che intanto
m’ha onorato della sua offerta, per allenare agli Europei 2017. Si risolve a giorni».
L’esclusione dai Giochi l’ha finalmente digerita?
«Razionalizzata, almeno, perché ci vuol tempo per elaborarla. E non nascondo che l’avevo presa malissimo. Poi, le sconfitte nello sport sono dolorose, ma i drammi sono altri, nella vita. E una mattina ti alzi, capisci che è passata
e torni a tirarti su le maniche per far meglio il tuo lavoro».
Quella mattina c’è già stata?
«Sì, e senza perdersi in retoriche, credo che un bell’aiuto sia venuto dai ragazzi delle Paralimpiadi. Se la vita continua per loro, per noi dev’essere davvero uno sforzo minimo. Quanto al preolimpico, ho letto molto, forse tutto, opinioni che rispetto, talora condivido, talora no. Ma delle mie analisi parlerò solo ai giocatori, il primo giorno di raduno».
È stata la delusione peggiore della carriera?
«Sì, una delle botte più brutte. Ma ho avuto una fortuna, in carriera: quella di viverla da privilegiato. Squadre e giocatori eccellenti, e se a bilancio ho più successi che batoste so esserne grato a chi me li ha consentiti».
Non teme mai di avere smarrito il tocco da re Mida?
«Se l’elegante domanda sottintende se mi sento un po’ più vecchio e rincoglionito, rispondo di no. Meglio: mi ci sentivo pure a quarant’anni, coglione, dopo ceffoni così. Abbiamo fatto errori e perso una partita decisiva a un
supplementare dall’obiettivo. Sono un pessimista storico, ma so che ci saranno altre partite, con gli Spurs e con la Nazionale».
In Italia parte il campionato. Metà degli azzurri, la metà più fòrte, non ci gioca. E si sa già che vincerà Milano. Siamo in piena area depressa?
«Sarebbe un atto di disonestà intellettuale, da et, pensarlo e dirlo. Si fa con quel che c’è, contando che presto sia di più. Se le nostre squadre tornano a fare le coppe, come sento che si sta lavorando, intanto è un passo. Senza coppe i giocatori non crescono».
Cosa si può fare per cambiare?
«Andare d’accordo, o litigare, se serve, per arrivare a intese propositive, e non per radere al suolo gli avversari. Ma forse qui stiamo già parlando dell’Italia, e non solo del suo basket».
Milano degrada da capitano Gentile e promuove leader Simon. È anche una rilettura di Torino, la Croazia di Simon ai Giochi, l’Italia di Gentile no?
«È una lettura ingenerosa. Non ha perso Gentile, ma l’Italia tutta, Messina in testa. Noi non abbiamo meritato quello che la Croazia è stata più brava a ottenere, trovando una quadratura di squadra che ne ha spremuto meglio l’indubbio talento. Bravi loro, più di noi. Che ora non dobbiamo accontentarci del “faremo meglio la prossima volta”. Cominciamo a lavorare sul come».
Anche nella Nba, col più forte (Durant) finito ai più forti (i Warriors ), pare tutto scritto.
«Pare, appunto, ma i Warriors hanno smantellato la panchina che vinceva le partite quando i due big sbadigliavano. Dovranno ritrovare equilibri».
E lei, aspetterà in eterno di essere il primo italiano capoallenatore nella Nba?
«Non mi ci vedo fuori da una palestra, e allora aspetto, senza farne un’ossessione. Se capiterà bene, sennò darò la mano che posso in questo club di persone eccellenti, dove vivo benissimo. Dove, parafrasando “Frankenstein jr”, si sa perdere con calma, dignità e classe».