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Fate piano che sennò si rompono. L’Nba e la piaga infortunii

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Eravamo pronti a dare il benvenuto nei nostri cuori e sui nostri poster a Ben Simmons. Eravamo pronti a dimenticarci del suo anno di college non esaltante a LSU, in una squadra di per sè già poco esaltante.

Embiid
Immagini di Embiid con una palla in mano più recenti non ci risultano. In compenso vedendo il suo attivissimo profilo Twitter possiamo dire che le sue dita stanno bene

Eravamo pronti ad abbracciare il nuovo fenomeno che aveva tutti i requisiti della superstar moderna: essenzialmente lungo e con mani dolci, oggi li vogliono così. Eravamo pronti anche a riabbracciare Philadelphia dopo che nell’era Hinkie aveva aspetatto un Godot che non aveva alcuna buona ragione per presentarsi.
Poi è arrivato il mignolo e lui proprio non lo aspettavamo. Simmons si è fratturato il mignolo del piede, mi piace pensare che lo abbia fatto sbattendo contro un mobile Ikea in casa come tutte le persone normali ma, ovviamente, non è così. Quello che non sapevo è che fratturarti un mignolo equivale a saltare dei mesi di stagione. Ora, dopo Embiid, o Phila ha sfiga o c’è anche qualcosa di più sotto. Gli infortuni non sono infatti un’ esclusiva della franchigia dell’amore fraterno ma una tassa da pagare per tutti nell’Nba attuale.
La prima ragione di questa epidemia di contratture, fratture e chi più ne ha più ne metta è facile da individuare: Ci sono troppe partite. Le partite di regular sono 82 più eventuali playoff ma nessuno considera le varie pre season e i tornei che, durante l’estate, cui tanti giocatori partecipano.
Ci siamo abituati a dimenticarci l’importanza delle sessioni di allenamento con determinati risultati sul gioco ma anche sul fisico degli atleti. Fare determinati esercizi e allenarsi in un certo modo non solo aiuta gli automatismi della squadra in partita ma serve anche a prevenire infortuni, evidenziare i rischi di certi movimenti, cambiare in corsa delle abitudini che possono portare a eccessivo sforzo o posture innaturali.
Arrivando al caso specifico dei due rookie dei Sixers, Embiid e Simmons, che hanno esordito prima in infermeria che in campo, possiamo aggiungere altre considerazioni.
Simmons, come Embiid, arriva dopo solo un anno di college. Entrambi arrivano in Nba in un momento della loro vita in cui la conformazione del corpo non è ancora definitiva e la crescita non completata del tutto. Sottoporre a sforzi e carichi di lavoro da Nba un corpo non ancora del tutto formato è come pretendere che un bimbo di sei anni vi dia una mano nel trasloco aiutandovi a spostare il pianoforte.
Simmons ha passato l’estate con Lebron a allenarsi e a mettere su massa muscolare. Questo è buono e giusto ma Simmons non è Lebron nella struttura fisica, nessuno lo è, perciò fare per un estate tutto quello che fa Lebron equivale a chiedere alle tue mani di fare ragnatele per arrampicarti sul Pirellone.
Oggi se non hai poi un’etica del lavoro che ti porta a gestirti bene fuori dal campo l’infortunio è dietro l’angolo. Se ti alleni poco e poi lo fai anche male diventi Joel Embiid. Non credete alla storia della sfortuna: nello sport pochi sportivi possono dire effettivamente che i loro infortuni sono dati da capricci della dea bendata: senza andare troppo indietro nel tempo lo può dire Livingston, lo può dire George, nel calcio lo si può dire di Ronaldo il Fenomeno (almeno per il primo infortunio serio) ma la maggior parte è frutto di negligenze dell’atleta o di chi lo segue.

Fate piano che altrimenti si rompono e noi il nostro giocattolo preferito lo vogliamo intero, con tutti i pezzi al loro posto.

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