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Un Diamantidis (non) è per sempre

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diamantidisI diamanti sono per sempre. Ingenuamente ci abbiamo creduto, quasi più per inconscia necessità. Abbiamo finto di credere che Dimitris Diamantidis non fosse davvero sul punto di ritirarsi, anche se lo sapevamo da settembre. Abbiamo finto fino a questa settimana quando il bug di questa stagione di Eurolega, il meraviglioso Laboral Kutxa, non ha chiuso la serie e la carriera di chi ha contribuito al glorioso passato di una competizione dal futuro incerto.

 

Ci sarebbero ancora le partite nel campionato greco ma, per chi ha fatto innamorare il mondo, queste esibizioni hanno l’intimo sapore di una cerimonia privata. La festa è terminata, anche se la musica suonata era ancora buona, anche se il buffet era ancora ricco, anche se non ci sentivamo ancora abbastanza ubriachi per salutare il festeggiato e tornare a casa.

Diamantidis non lascia perchè non può più dare nulla. L’ultima serie con i baschi lo ha dimostrato. Ha quasi portato un match all’overtime e ha riacceso fiammelle di speranza ogni volta che le speranze del suo Pana si riducevano al lumicino. Sarebbe potuta continuare la serie, magari un’altra partita in terra basca, ma il destino ha deciso che l’ultima fermata doveva essere nella sua Oaka, davanti a ventimila devoti che hanno sussultato per le sue prodezze fino all’ultimo.

Diamantidis saluta e la sensazione è quella di non avergli tributato abbastanza, di non avergli detto abbastanza volte grazie, di non aver capito fino in fondo quanto abbia cambiato il basket del vecchiio continente anzi, il basket e basta. La “colpa” forse è soprattutto sua. Non ha mai preteso niente non ha chiesto tour d’addio, non ha fatto dichiarazioni roboanti. D’altronde non si cambia drasticamente a 36 anni. Non ha mai amato qualunque cosa che fosse legato all’enterteiment nel basket. Forse per questo l’Nba non è stata mai davvero presa in considerazione. Eppure non è un caso che la chiamata fosse arrivata a più riprese proprio da quella San Antonio, Texas, dove il suo mood sarebbe stato sicuramente apprezzato.A volte si aveva con Diamantidis la sensazione che giocasse con la canotta degli Spurs sotto la verde del Pana. Sembrava perfetto per quel tipo di gioco ma anche come attitudine, più un Tim Duncan che un Bryant per restare all’attualità. Non mi immaggino Diamantidis annunciare l’abbandono nello spogliatoio con discorsi oomposi. Me lo immagino arrivare e dire: “ok ragazzi, io vado a fine anno” e uscire rapido per il riscaldamento. Cose simili le riscriverò forse tra qualche mese su Tim Duncan e la cosa non fa che rafforzare il ragionamento pocanzi quantomeno abbozzato.

Accettare che Dimitris si ritiri presuppone accettare non solo di rinunciare al campione Diamantidis ma anche a tanti altri potenziali ottimi giocatori che con lui avrebbero potuto alzare il loro livello. Stiamo parlando di un signore in grado di mettere in ritmo chiunque.Stiamo parlando del primo a raggiungere 1000 assist nella sola Eurolega. Esistono macchine da punti ma che non elevano il contesto del loro intorno. Diamantidis ne è stato l’ideale contraltare. Arrivato per sostituire Bodiroga andato a Barcellona Diamantidis ha risollevato in beve un ambiente depresso. Quando gli hanno affiancato stelle del calibro di Jasikevicius e Spanoulis ha avuto l’umiltà di fare quello che serviva. Quando i suddetti hanno aperto nuovi capitoli della loro carriera lui non ha fatto una piega nel prendersi le sue responsabilità.

Diamantidis è stato sei volte difensore dell’anno e non solo per le statistiche. Tuttavia non ha rinunciato alla spettacolarità, brevettando un passaggio in salto che catalogabile alla voce “non riprovateci a casa” da orde di coach alle prese con soggetti dalle potenzialità differenti. Potremmo elencare numeri, cifre, titoli vinti ma in fondo il succo è: “ci sono buoni giocatori, ci sono campioni e poi c’è Dimitris Diamantidis” parole e musica di coach Obradovic dopo un quarto di finale Barcellona-Panathinaikos che suonano come l’epitaffio perfetto della carriera di una leggenda. Grazie per averci mostrato il suo dono della sintesi, coach.