Dmitry Petrov Gerasimenko non è una macchietta: è un imprenditore con le idee molto chiare e l’intervista al Corriere della Sera di oggi ci aiuta a capirlo un pò meglio e a tracciare i contorni della sua personalità, andando oltre la sua maniera sicuramente appassionata di vivere la partita. Se mai esistessero ancora dubbi sulla non esistenza di mecenati che investono soldi in maniera scriteriata, animati dalla pura ossessione per la vittoria Gerasimenko sta lì a fugarli. Come ogni imprenditore anche il patron di Cantù ha investito i suoi soldi, e promette di continuare a farlo, per raggiungere dei profitti. Fatalmente nel basket per generare profitti si deve avere un prodotto, una squadra, in grado di essere competitiva e accattivante anche per nuovi tifosi, oltre che per i già appassionati tifosi di Cantù.
La base di partenza che offre la città è ovviamente ottima, visto il calore con cui è vissuta la pallacanestro da anni. Gerasimenko lo sa, se n’è aacorto subito e pare sinceramente coinvolto. Svela però nell’intervista di dovere molto al figlio quattordicenne (che gioca per i canturini) per “avergli rinfrescato la memoria” sui fasti della compagine brianzola e averlo convinto a investire ancora una volta nel mondo della pallacanestro.
La famiglia ritorna anche con un accenno alla moglie e alla sua importanza per l’uomo Gerasimenko, come tutti in famiglia anche la signora a sentire il marito un pò di pallacanestro ne mastica.
Gerasimenko è un padre padrone si è detto da qualche parte : anche qui si nasconde un giudizio affrettatato e forse in alcuni casi dettato dalla malafede. A leggere le parole di Gerasimenko si percepisce semplicemente il fatto che si ha davanti qualcuno che è abituato a delegare a terzi. Nell’intervista denigra la figura del general manager, quando questi è lì per deresponsabilizzare il propretario e torna su quello che è il perno del suo discorso riassumibile in: “i soldi li metto io perciò sono il primo a dover prendermi la responasbilità delle scelte fatte”. Questo non significa delegittimare l’allenatore o dare suggerimenti non richiesti, nella logica del russo porta però a mettere l’allenatore davanti le sue responsabilità qualora le sue idee non producessero risultati, probabilmente questo è successo a Corbani.
A chi gli ha imputato un eccessivo tourbillon in tema di trasferimenti il patron risponde con assoluta sincerità al giornalista del Corsera: “Quella squadra non era mia, questa lo è” . Ma che squadra sarà la prossima di Cantù si chiedono i tifosi. La risposta di Gerasimenko è in una sola parola:“Showtime”, perchè solo una squadra di talento può come detto far alzare ancora l’asticella della passione e parallelamente i famosi profitti.
Il rischio sarebbe, pur con l’indubbio fascino del Pianella, di avere un pubblico più ampio ma di non avere un tetro abbastanza ampio per contenerlo. Gerasimenko da bravo uomo di business non se l’è lasciato sfuggire e promette un’ arena di livello, quanto quella che sta finendo di costruire per il suo club in Russia, in cui come si sa ha pure giocato. Il progetto c’è e ovviamente anche il benestare della città il problema per il ciclone Gerasimenko è la burocrazia italiana e da questo punto di vista ben poco di nuovo c’è sotto il sole.
Difficile pensare che si abbatterà, lui che è cresciuto andando a scuola con i meno quaranta gradi e si è cotruito da solo. Non è un magnate staccato dalla realtà: non è il connazionale Roman Abramovich e non è uno sceicco che sta lontano. Gerasimenko è qui per restare e probabilmente non è affatto una brutta notizia.