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ESCLUSIVA: Intervista ad Alberto Cessel, alla Mount Zion di McGrady a caccia del sogno americano

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Alberto Cessel e’ da molti considerato uno dei prospetti più interessanti del panorama delle High School americane e non solo. Ala di 203 cm, classe 1997, e prodotto del fecondo settore giovanile della Virtus Siena (da cui sono usciti talenti puri come Roberto Rullo, Matteo Imbrò, Amedeo Tessitori, solo per fare qualche nome) Alberto è figlio d’arte di Andrea, veterano della Serie A italiana con 429 match giocati tra Fortitudo, Forlì, Siena, Roma, Cantù e Livorno, e di Cristina Lenzi, anche lei cestita ad alti livelli; una passione e una predisposizione per la pallacanestro genetica e naturale, cresciuta di pari passo con doti tecniche e fisiche le cui potenzialità non sono passate inosservate all’occhio svelto e lungimirante dei tecnici d’oltreoceano. Dopo la trafila nelle giovanili, un anno in prima squadra in Dng sotto la guida di coach Daniele Ricci (per lui 6 gare giocate con un minutaggio di circa 7 minuti) fino a quest’estate, con la grande vetrina della Summer League, che gli ha aperto le porte degli States: prima la convocazione da parte della International School of Boward di Miami, poi i più che positivi pre-season tournaments che gli hanno garantito la chiamata in quintetto offertagli dalla Mount Zion Christian Academy di Durham in North Carolina, che ovviamente Cessel ha colto il volo. Un occasione, quella di vivere l’american dream, per di più nell’High School che fu per un anno di Tracy McGrady, che non capita tutti i giorni. Cercando magari di emulare i vari Oliva o Mussini. Lo abbiamo intervistato in esclusiva per BasketItaly.it:

Come è nata l’avventura americana?

I primi occhi addosso ho iniziato ad averli quando, a marzo 2014, sono stato convocato a un raduno della nazionale u17. Poi la scorsa stagione sono stato invitato dalla Fortitudo Bologna a un torneo in Francia per Pasqua, ho giocato bene e il mio nome ha iniziato a circolare. Dopo un mesetto sono stato contattato da 2 scuole, una a Miami e una in New Jersey, così le andai a visitare a luglio e a settembre mi sono trasferito in Florida. Ho passato un mese e mezzo a Miami ma, dopo essere stato contattato dalla Mount Zion Christian Academy, a Durham, dove mi trovo tutt’ora, sono stato convinto dal coach di quest’ultima a trasferirmi in North Carolina. Sono felice di questa scelta perché qui mi trovo benissimo, sia per la scuola che per il lato sportivo

E’ stato difficile il primo impatto negli States? Ti sei ambientato al meglio?

Sicuramente mi ha aiutato molto la mia conoscenza della lingua inglese, che ho sempre saputo parlare discretamente. Non posso nascondere però che all’inizio sia stato un po’ sconvolgente l’impatto con un altro tipo di pallacanestro, con regole diverse e sopratutto una diversa visione dell’attacco e della difesa. Fuori dal campo mi sono subito ambientato benissimo, e non ho mai avuto dubbi di questo genere, ma per quanto riguarda il campo mi ci è voluto qualche tempo per capire cosa i miei compagni e il coach si aspettavano e volevano che facessi

Come giudichi il tuo rendimento dopo il primo mese di campionato?

Parlando oggettivamente, sono soddisfatto poiché sono quasi sempre riuscito ad avere un buon impatto in campo, mettendo su buoni numeri, non andando troppo sotto fisicamente come mi sarei aspettato e sopratutto aiutando la squadra a girare e a vincere diverse partite. Soggettivamente invece sento di dover lavorare tanto, non sono mai soddisfatto di me stesso e questo mi porta a stare spesso fino a tardi da solo in palestra a provare quei movimenti su cui non mi sento ancora sicuro. So di essere molto più leggero dei miei pari ruolo, e nemmeno più veloce come potevo essere in Italia, quindi non posso permettermi alcun errore di distrazione o ingenuità

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Cosa hai provato ad essere scelto da un High School e a far parte di questo ambiente?

L’emozione è stata tanta, prima di tutto perché si trattava si una scelta di vita, significava sradicarmi completamente dall’ambiente in cui mi trovavo a Siena, cambiare abitudini, routine e conoscenze, ed è una cosa molto più difficile a farsi che a dirsi. In secondo luogo mi sono sentito onorato per la borsa di studio che mi hanno offerto, una cosa che non capita di certo a tutti, e per questo da una parte mi sono sentito quasi obbligato ad accettare. Non ho mai preso in considerazione la possibilità di rimanere a casa, perché le prospettive qui sono troppe e troppo più grandi di quelle che avrei avuto restando in Italia

Come è il livello tecnico della competizione?

Il livello tecnico lo definirei altalenante. Ci sono una miriade di squadre, quindi può capitare che incontri squadre il cui livello è persino più basso di quello italiano, mentre due giorni dopo incontri squadre di cui 2-3 componenti sono prospetti da Division 1 di NCAA, e il livello in quel caso è veramente alto, sia tecnicamente che fisicamente. Una costante che ho ritrovato in pressoché ogni squadra contro cui ho giocato è l’instancabile atletismo. Corrono, pressano e saltano ininterrottamente per tutta la partita, preferendo azioni brevi e contropiedi anche in situazioni in cui in Italia si tenderebbe a rallentare e chiamare uno schema.

Che differenze, culturali o di altro tipo, vedi tra il basket nostrano e quello Usa? Un mondo a parte?

La cosa che mi ha colpito maggiormente è l’organizzazione. In Italia, almeno nella realtà a cui sono stato abituato alla Virtus Siena, c’è uno schema dettagliato di ogni aspetto della giornata, dentro e fuori dal campo. Sempre la stessa routine prima di ogni partita e allenamento e ogni trasferta organizzata nei minimi dettagli. Qua invece le cose le affrontano un po’ come vengono, almeno a livello liceale. Un’altra cosa a cui sinceramente non sono ancora riuscito ad abituarmi è il fatto della doccia. Qua nessuno si fa la doccia con la squadra, anche perché spesso non ci sono spogliatoi ma veniamo fatti cambiare in stanze o classi delle scuole dove giochiamo in trasferta, e dopo la partita o allenamento tutti si rimettono i propri vestiti e vanno a casa, mentre in Italia ognuno perde quei 20-30 minuti necessari per farsi la doccia. Sinceramente preferisco molto di più l’usanza europea a quella americana! (Ride)

Che effetto fa calcare il parquet sul quale giocò un certo Tracy McGrady?

Devo ammettere che, durante gli allenamenti e le partite in casa, alzare lo sguardo e ritrovarsi davanti la maglia ritirata di Tracy McGrady, uno dei più grandi talenti mai passati per la NBA, fa uno strano effetto. È una bella pressione ma allo stesso tempo una motivazione grandissima, perché anche solo pensare che, quando aveva la mia età, T-Mac stava correndo sullo stesso campo dove corro io adesso, mi spinge ogni giorno a cercare di dare il massimo per assomigliare almeno un minimo al campione che è stato lui.

 

Che tipo di lavoro stai facendo per migliorare il tuo gioco? Privilegi aspetti più fisici o tecnici?

La mia priorità sarebbe il fisico ma, essendo la scuola sprovvista di una sala pesi, andiamo in una palestra esterna e di conseguenza sono costretto a lavorare su questo aspetto solo quando mi viene concesso di farlo. Vivendo al piano di sopra della scuola invece ho un accesso pressoché illimitato al campo. Ultimamente sto lavorando tanto sul mio gioco sotto i tabelloni, che è sempre stato una mia carenza dato che ho sempre preferito attaccare in palleggio, giocando più da “esterno”. Ad esempio, sto passando molte ore a provare il gancio a una mano, sia di sinistro che di destro, in corsa o in arresto, ed anche diversi altri movimenti per migliorare in generale il mio gioco in post basso

Quali sono i tuoi prossimi obiettivi? Il College è una buona prospettiva futura?

Non nascondo che il mio obbiettivo primario adesso sia trovare una borsa di studio per il college, e fortunatamente qui il lato accademico combacia con il lato sportivo visto che nella maggior parte dei casi i college migliori dal punto di vista accademico lo sono anche dal punto di vista atletico. Un buon college qui in America può costare veramente tanto, molto di più che in Italia, e sicuramente avere una borsa di studio permetterebbe anche a me di vivere l’esperienza con molta più leggerezza, sapendo di non dover pesare sulle tasche dei miei genitori

 

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