Ha chiuso Grantland. Tutti i motivi per cui vale la pena far scendere una lacrima
E’ stato un brutto colpo, un po’ come quando quello che era stato un amore appassionato si conclude con un sms. Grantland ha chiuso i battenti un po’ a sorpresa, dopo aver dedicato l’ultimo articolo agli allenatori ad interim della Nfl, non l’addio che ci saremmo aspettati. Ora la homepage del sito si apre con un malinconico: “è stata una bella corsa, grazie” che suona come l’equivalente di quel “sono stata bene con te ma ora è finita, buona vita” che a tutti è capitato di ricevere almeno una volta. Restano lunghi, lunghissimi articoli negli archivi che hanno aperto ad una nuova maniera di fare giornalismo sportivo (e non) sul web. Ma che cos’era Grantalnd? Volendo dare una definizione telegrafica, di quelle che entrano nelle enciclopedie potremo dire che G era: “un blog/sito sportivo con (giustificate) ambizioni letterarie”.
Chiuderla così però non sarebbe giusto come non sarebbe giusto chiudere un editoriale con meno di 150 parole e se la penso così la colpa è anche di G e quindi indirettamente di Bill Simmons. Simmons iniziò a far parlare di sé negli anni 90 quando non era così normale che un giornalista aprisse un blog sulla allora quotatissima piattaforma Aol per parlare sostanzialmente di sport e cultura pop nel modo che voleva e con il linguaggio che voleva. Nel 2001 il successo incredibile per proporzioni lo fa chiamare dalla Espn. Da allora casi come quello di Simmons hanno dato speranza a tanti che, aprendo un loro blog, hanno sperato di venire notati dai grandi dell’editoria. D’altronde era contemporaneamente il periodo in cui aprire un account MySpace sembrava un modo credibile per finire in heavy rotation su Radio Deejay, allora tutto sembrava possibile.
Simmons passò in breve da editorialista a produttore di documentari per una serie curata dalla stessa Espn (che dietro ha la Disney, e giova ricordarlo per far capire la sua potenza produttiva). Grantland come lo abbiamo conosciuto è nato solo nel 2011. E’ incredibile come abbia cambiato in pochi anni il panorama in un settore che allora muoveva i primi passi (il giornalismo di qualità sul web) e come sembrasse già da subito un bellissimo arcobaleno destinato a svanire presto . Già l’anno scorso Dario Vismara, uno che alla fonte di G si è abbeverato ed è oggi una dei migliori a scrivere di basket dello Stivale, si era chiesto se il destino di Grantland non fosse quello di bruciarsi in fretta come una stella che muore troppo presto. Già l’anno scorso infatti c’erano chiari segnali che questo giocattolo bellissimo si stesse disfacendo. Il motivo numero uno è abbastanza chiaro: Grantland non generava introiti. Nonostante i premi (3 nomination ai National Magazine Awards solo nel 2014, quando il picco di qualità era già stato superato) Grantland non aveva pubblicità. Era una scelta, Espn manteneva la creatura di Simmons come un’isola felice dove i nerd del basket, della Nfl, ma pure del calcio potevano crogiolarsi nella lettura (gratuita) di lunghissimi articoli. Questi piccoli saggi di letteratura sportiva erano infarciti di riferimenti a tutta una cultura indie-pop che Grantland stesso ha contribuito a diffondere oltre a mari di statistiche (sì, se gli Houston Rockets sono ossessionati dai numeri è colpa della ciurma di G almeno un po’).
Col tempo oltre ai lunghissimi articoli nacquero anche numerosi podcast. Grantland diventava una sorta di radio on-demand. Negli anni al microfono si sono succeduti personaggi diversissimi. Jalen Rose è diventato un riferimento e tutte le promesse non mantenute sui campi Nba se le è fatte perdonare raccontando a modo suo il campionato più spettacolare del mondo. Simmons aveva creato una squadra meravigliosa dal nulla. Grande fan degli Spurs e soprattutto di Tim Duncan, Simmons era in breve diventato una sorta di Greg Popovich del giornalismo: aveva pescato dal nulla Zach Lowe che scribacchiava qui e là e lo aveva messo a parlare con Van Gundy. Aveva reinventato Jalen Rose, aveva trovato posto nel calderone pure a suo padre e sua madre e era arrivato ad avere un organico di 40-50 penne.
Non crediamo che siano stati però solo i soldi a far chiudere la baracca. L’anno scorso Simmons aveva salutato e G aveva continuato senza un vero capo. Un colpo duro per il sito che, anche nei momenti di massimo splendore e con la spinta di Espn dietro non aveva mai superato i sei milioni di visite (il fratellone Espn faceva venti milioni). In più la voglia di parlare di tutto e di farlo in maniera ironica aveva portato a un gran numero di articoli ma anche ad un abbassamento della qualità in generale e Grantland pareva aver perso un pò il suo Zenith. Pezzi come quelli in cui Simmons ci raccontava i suoi pomeriggi con Magic Johnson erano sinceri e scritti chiaramente col cuore in mano ma la sua qualità di scrittura dell’ultimo Simmons in primis, forse per i troppi impegni, era scesa. Così apparivano pastrocchi assurdi come “il fanta-reality show” di cui si sarebbe fatto volentieri a meno o articoli che pretenziosamente si dedicavano ad una nicchia troppo piccola apertamente. Lo stesso Simmons aveva finito per essere una macchietta: l’alternativo che prova a combattere un sistema in cui è dentro fino al collo senza neanche crederci troppo. Simmons era l’equivalente dei finti comunisti-anarchici che stanno sotto i portici dell’Università di Bologna a combattere per un mondo alternativo che probabilmente neanche davvero vogliono e in cui comunque non sopravverrebbero con tutta probabilità.
Ora che Grantland è finito Simmons tornerà a splendere nella nuova avventura ad HBO, che gli darà quella libertà che forse ad Espn aveva perso. Si è già portato dietro una decina dei suoi e le cose in realtà gli stanno andando abbastanza bene da quando ha lasciato la sua creatura. Tanti altri nomi della ciurma di Grantland stanno finendo in questi giorni in posti come il New York Time Magazine. Lo spirito del sito poi non muore. Tanti siti hanno seguito il modello-Grantland. In Italia Daniele Manusia ha costruito quella che è a tutti gli effetti la risposta italiana a Grantland: L’Ultimo Uomo, che è la migliore rivista italiana di sport sul web, non solo perché si autodefinisce tale. Seguendo l’esempio degli americani “Double U” ha tenuto l’asticella alta, coinvolgendo scrittori di qualità ed emergenti voci che gli hanno permesso di mantenere un tono fesco. Un esempio per tutti è il romano Francesco Pacifico. Agli inizi pure Grantland si fregiò di grandi penne come Dave Eggers e non ci vuole moltissimo per riconoscere l’influenza di gente come Eggers o Foster Wallace in romanzi come “Class” .
In Italia poi possiamo anche fregiarci della dissacrante ironia del “BuzzerBeaterBlog”, vero riferimento per noi malati di palla a spicchi, oltre a Rivista Unidici o Crampi Sportivi, solo per citarne alcuni.
Ah, poi ci sono anche io. Io sono Manuel Santangelo e scrivo un po’ qui e un po’ lì, sempre editoriali lunghissimi che vorrebbero anche far ridere (e spesso non ci riescono). Se avete letto questo migliaio di parole è pure per merito, o forse colpa, di Bill Simmons e di quella meravigliosa creatura che si chiama(va) Grantland.
Photo: John B.