BI Style: Il logo fa il monaco (anzi la squadra) 4 esempi di restyling più o meno riuscito
Se siete nati nella prima metà degli anni 90 molto probabilmente la parola “logo” vi farà all’inizio pensare a quei rudimentali sfondi che trovavano dimora sui nostri telefonini dagli schermi verdi e che, nelle pubblicità sui giornalini dell’ epoca, venivamo invogliati a scaricare attivando abbonamenti che ci toglievano soldi e che, spesso e volentieri, non ci portavano neanche ad averlo il nostro agognato “logo”. Desideravamo tanto uno sfondo particolare perché era la prima cosa che appariva a chi avesse a che fare con il nostro rudimentale cellulare (magari per scriverci il suo numero), era insomma il nostro biglietto da visita, un modo per veicolare una parte di noi.
Anni dopo i bambini che agognavano il loro logo oggi hanno in curriculum abbastanza esami di semiotica e si sentono ripetere talmente spesso la parola marketing che hanno capito che in fondo l’importanza di un logo, ma di un logo vero è importante.
In questa estate tante franchigie hanno cambiato il loro logo. Qualcuna lo ha rinnovato completamente, qualcuno lo ha affiancato anche ad un logo secondario egualmente restaurato, qualcuno ha solo svecchiato la sua immagine. I risultati sono stati altalenanti, ora Basket Italy gli dà i voti.
Los Angeles Clippers 4. Togliamoci subito il pensiero e stronchiamo gli angelini come d’altronde hanno fatto un po’ tutti negli ultimi mesi e a ragione. Dare un nuovo logo ai Clips era necessario, quasi un atto dovuto per confermare al mondo che loro non hanno più niente da spartire con la squadra scalcinata che si è associato a lungo al nome Los Angeles Clippers. Il risultato però è stato agghiacciante. Il font con cui si è scelto di scrivere “Clippers” è banale e è la prima cosa che si nota nel logo, ad aggaravare la situazione il fatto che sia di un nero che nulla ha da spartire con i colori storici dei Clips: il nero. Il pallone, scelta abbastanza banale per un logo di questo tipo è rimasto, giustamente ridimensionato. Al suo interno trovano posto le lettere LAC in un font troppo rigido e con troppo poco spazio. L’idea di inserire curve ondulate per dare dinamismo al tutto poi finisce per far risaltare ancora di più la parola “Clippers” facendo assomigliare tutto l’ensamble all’insegna di un pub. Come ha detto a Grantland il designer Mark Fox: “It just doesn’t work”.
Toronto Raptors 6 I team Nba hanno ormai abbandonato l’estetica cartoon che a cavallo tra anni 90 e primi del 2000 aveva riscosso buon successo. Da un pò ormai il dinosauro che campeggiava nei primi anni dei Raptors in primo piano in quelle canotte meravigliosamente uniche nel loro sovrabbondante barocchismo aveva iniziato a perdere spazio. Il dinosauro a noi piaceva ma anche i nuovi loghi non ci dispiacciono. Certo l’idea di un pallone (ancora?) rischiava di far cadere tutto nel già visto così come la scelta di puntare su un logo “rotondo”, scelta che riscuote molti proseliti nella lega. Certo il nuovo logo appare più serio e fa parte di una strategia per rendere l’immagine dei Raptors, più adulta e il risulato indubbiamente c’è. A fare sensazione è la scelta del nero che non richiama né il colore viola della fondazione né il rosso dei colori sociali di oggi. La scelta in realtà non è casuale, come appare per i Clips. I Raptors hanno cercato di apparire più cool legando sempre di più la loro immagine ad un tifoso vip che rappresentasse la città. Esempi di successo in questo senso abbondano: dal grande Spike Lee anima dei Knicks al rapporto d’amore tra Jack Nicholson ed i Lakers (che però non è di La) per finire in tempi recenti a Justin Timberlake e i suoi Grizzlies o Jay-Z. Sulla falsa riga del ruolo avuto proprio dal rapper newyorchese nella costruzione dell’immagine dei Brooklyn Nets i Raptors hanno trovato il loro testimonial di eccezione nel collega Drake. Drake ha anche una etichetta la OVO Records, il colore che identifica la label è il nero. Saputo questo non sorprende più il colore di un logo in cui il rapper dell’Ontario ha sicuramente messo mano.
Philadelphia 76ers. 8,5 A Phila hanno provato spesso e volentieri coraggiosi restyling della loro immagine, basti pensare al logo oversize che toccò indossare ad Iverson nelle sue stagioni migliori. Memori dello sfiorato rischio di scendere nel pacchiano già da un po’ a Filadelfia sono tornati a scegliere linee semplici e colori vivaci per loghi che non appaiono mai un pugno nell’occhio, aiutati anche dal fatto che cromaticamente azzurro, rosso e bianco si sposino abbastanza naturalmente. L’ultimo logo continua in questa direzione e sfiora il capolavoro mettendo i Sixers nei primi posti in classifica, almeno (e probabilmente solo) per la bellezza dei loghi. Il primo, nonostante la temuta “forma a palla” mantiene una grande freschezza. I numeri che formano il 76 sono di colore diverso ed il font scelto regala dinamicità. A dare ulteriore dinamismo poi ci sono le stelle che richiamano poi la storia di Philadelphia e il nome Sixers. Le stelline infatti sono 13 come le colonie originarie da cui nasceranno gli USA. Il capolavoro però è il logo secondario che sta riscuotendo infinito successo a livello di marketing. La scelta di utilizzare un Benjamin Franklin versione cartoon che palleggia come secondo logo sarebbe una scelta anacronistica, in ritardo di dieci anni come detto. Eppure un po’ per la sua storia un po’ per il carattere fortemente ironico di questo “Benji” si è riuscito a evitare troppe polemiche ed i risultati si ve(n)dono visto quanto il materiale abbia successo tra i tifosi, nonostante gli scarsi risultati sul campo
Atlanta Hawks 9: Ai tifosi della città della Coca Cola nell’ultima stagione sfavillante è sembrato di tornare indietro agli sfavillanti anni 80, quando accostare le aquile e il concetto di spettacolo appariva scontato. A completare l’effetto revival sugli spalti tanti tifosi hanno iniziato a riesumare l’ amato “Pac Logo” dei tempi. La società allora ha provato a stare al gioco, sostituendo l’aquila cartoon con il vecchio logo. Peccato che la Lega impedisca di riutilizzare come logo uno già precedentemente andato in pensione. Così ci sì è limitati a cambiare in maniera impercettibile l’emblema della testa d’aquila che a quei tempi a tutti ricordava l’icona dei videogames Pac Man. Il risultato è piacevolmente vintage e si sposa bene con il sostanziale e dovuto restyling delle divise. A impedire agli Hawks di prendersi il dieci e lode è quella forma circolare che fa sì che il risultato d’insieme paia un po’ troppo simile ad un logo per una squadra di calcio ma la perfezione non esiste e non piace per forza a tutti come Pac-Man che dimostra ancora una volta come non si esca vivi dagli anni 80, anche se non li si è vissuti direttamente.
foto by Gunni Cool