«Se giochiamo bene e siamo in salute possiamo battere chiunque»: lituano, classe 1979, è Darius Lavrinovic, che si è raccontato alla Gazzetta dello Sport. La sua Grissin Bon è forte, «ma se caliamo di intensità arrivano i guai» e allora bisognerà stare attenti. Un giocatore ancor più grato alla sua squadra dopo il rientro dell’infortunio: «Quando a dicembre ho saputo che mi sarei dovuto operare di nuovo alla schiena ho vacillato, — ha confessato Lavrinovic — la maggior parte delle società mi avrebbe tagliato o avrebbe cercato un accordo per mandarmi a casa, invece qui hanno creduto in me e nelle mie potenzialità. Ogni giorno durante la mia riabilitazione pensavo a come poter ripagare questa fiducia, adesso è arrivato il momento». Forse atletismo minimo, ma tecnica da sapientone e modelli encomiabili: «Olajuwon per i movimenti in post e Sabonis per l’arte che aveva nel passare la palla, leggere le situazioni e fare sempre la cosa più intelligente», ha detto. In squadra Lavrinovic ha trovato anche un compagno importante, il connazionale Kaukenas: «Io e lui ci troviamo ad occhi chiusi, sa sempre dove sono io e io so dove è lui», un’intesa nata da anni insieme allo Zalgiris, al Real Madrid e in nazionale. Ma non solo lui, è il senso del gruppo che piace al pivot lituano, alla capacità di superare insieme anche le piccole difficoltà, come quando Diener si era macchiato di responsabilità per la sconfitta contro Pesaro alimentata dal suo 0/2 dalla lunetta: «In allenamento c’erano facce scure e lui era un po’ giù, così ho rotto il silenzio chiedendogli se voleva venire a ripetizioni da me per i liberi e allora lui mi ha mandato a quel paese ridendo; sono gesti che aiutano lo spogliatoio». C’è un compagno però che Lavrinovic avrebbe voluto avere con sé: «Il mio gemello, – ha spiegato – Ksystof, ma ha scelto di andare al Lietuvos Rytas per avvicinarsi alla famiglia», famiglia che invece per lui è tutta a Reggio Emilia. E chiudendo: «Ora ci sono i play off, voglio essere al top».