Fino ad un mese fa la stagione di Caserta era qualcosa di molto simile ad un calvario. Nessuna vittoria nelle prime 14 giornate di campionato, un desolante ultimo posto in classifica, una girandola di giocatori e una salvezza che appariva lontanissima. Poi qualcosa è cambiato. Esonerato Markovski, arrivato dopo le prime cinque giornate al posto di Molin, è stato promosso Vincenzino Esposito, uno dei figli della Caserta campione d’Italia nel 1991, alla prima esperienza da capo allenatore in serie A. Per qualcuno un azzardo, per altri l’ultima carta da giocare nel disperato tentativo di restare in massima serie.
Dopo un inizio da dimenticare (altre tre sconfitte sotto la nuova gestione), la nuova Juve ha cambiato completamente marcia infilando a cavallo tra la fine del girone di andata e l’inizio di quello di ritorno una striscia di quattro vittorie consecutive, l’ultima domenica scorsa contro la lanciatissima Bologna. Una serie positiva che ha cambiato completamente volto e prospettive alla classifica della Pasta Reggia. Che, se il campionato finisse oggi, sarebbe salva in virtù del successo nello scontro diretto con Pesaro, agganciata a quota 8 punti. Un mese fa praticamente spacciati, oggi virtualmente salvi.
Cosa è successo coach Esposito? “Per il momento abbiamo solo abbandonato l’ultimo posto, quindi teniamo i piedi ben saldi a terra. La strada è ancora lunga, restano ancora tredici partire da giocare e in campo non ci andiamo solo noi. Sicuramente abbiamo ritrovato la squadra, il gruppo adesso è compatto e rema tutto in un’unica direzione. Con il passare delle settimane siamo migliorati anche tecnicamente, partendo dalla difesa. I primi passi in avanti sono stati fatti, sono importanti ma non sono abbastanza”. Cosa non ha funzionato prima con Molin e poi con Markovski? “I nuovi arrivati, giocatori con un passato anche importante, non sono riusciti ad ambientarsi, a rendere secondo le aspettative. A quel punto la somma delle sconfitte è diventata un fardello pesantissimo dal punto di vista psicologico”. È da lì che ha iniziato il suo lavoro? “La prima cosa è stata recuperare mentalmente una squadra molto demoralizzata, farle dimenticare la classifica. Poi c’è stato il lavoro in palestra, senza sarebbe stato tutto inutile. La somma delle due cose è il risultato che abbiamo sotto gli occhi”. Può sembrare un paradosso, per una squadra che deve salvarsi, liberarsi del suo miglior giocatore.
Voi avete deciso di tagliare Sam Young che viaggiava a quasi 22 punti di media a partita. Perché? “Perché ad un certo punto, con una classifica sempre più delicata, bisognava prendere una decisione. Salvare nove giocatori e fare a meno di Young, il giocatore che si era inserito con maggiori difficoltà nel gruppo, oppure tenere lui e lasciar morire gli altri nove. Ho preso questa decisione, che unita al lavoro psicologico in palestra ha iniziato a produrre i primi risultati”. Risultati che non sono arrivati subito però. Quasi 100 punti di media incassati nelle prime tre partite (perse) sotto la sua gestione. La svolta, strano a dirsi per uno conosciuto soprattutto per le sue doti realizzative, è partita dalla difesa. “Non poteva essere altrimenti. Siamo una squadra che non ha grande talento offensivo, per questo motivo ci siamo concentrati su come migliorare la qualità della nostra difesa. Ho ragionato in questo modo, i ragazzi mi hanno ascoltato e ora dal punto di vista difensivo abbiamo un assetto abbastanza importante. Dobbiamo lavorare ancora su qualche dettaglio e crescere dal punto di vista offensivo”.
Aspettando il miglior Domercant. Preso per quale motivo? “E’ un giocatore che porta tante cose, esperienza, talento, tranquillità, positività. È per questo che nonostante i sei mesi di inattività e l’infortunio importante di due anni fa abbiamo deciso di prenderlo. La nostra squadra aveva bisogno di un giocatore dal forte impatto psicologico e quindi dell’esperienza e della tranquillità di Henry, quando ritroverà la condizione atletica ottimale contribuirà a far salire il rendimento offensivo della squadra”. Altro uomo chiave della rinascita è Dejan Ivanov. “Perso per infortunio Michelori, con il giovane Tessitori è l’unico lungo che ci è rimasto. Siamo stati molto bravi a sfruttarlo nelle ultime due partite, ma a me piace sottolineare che nelle altre due vittorie, dove Dejan ha reso meno, sono venuti fuori altri giocatori. Questa è una squadra che non avendo un talento immenso deve sfruttare in attacco i limiti difensivi degli avversari ed avere un apporto importante difensivamente da tutti, che sia per un minuto o per quaranta. Questo è un altro dei problemi che avevamo con Young, troppo accentratore del gioco senza però portare un risultato finale alla squadra”. Ha detto che riuscire a salvarsi sarebbe come vincere un altro scudetto. “Nulla sarà mai paragonabile al trionfo del ’91, però partire 0-14 e riuscire a raggiungere la salvezza sarebbe la cosa più vicina da paragonare a quel giorno. Io ho vissuto quella vittoria, resterà unica, ma salvarsi per il modo in cui siamo partiti sarebbe un mezzo miracolo”.
Tornati a galla cosa non bisogna fare per ripiombare giù? “Smettere di vivere alla giornata, dobbiamo pensare partita per partita mettendoci entusiasmo e passione ogni giorno. Guardare più avanti del penultimo posto sarebbe l’errore più grande”. Che Caserta ha ritrovato? “La fede e la passione per la Juve in questa città non moriranno mai, indipendentemente dalla categoria e dalla classifica. Abbiamo dato una grossa svolta, a livello di entusiasmo, perché abbiamo fatto credere a questa gente che con l’umiltà e il lavoro è possibile raggiungere ogni risultato, nel nostro caso la salvezza”. Che campionato è? “Con l’apertura delle frontiere abbiamo visto arrivare tanti giocatori, alcuni interessanti, altri decisamente meno. Il livello tecnico si è abbassato in favore di un atletismo eccessivo. Io appartengo alla vecchia guardia, amo la pallacanestro vera, fatta di tecnica. Si sta trascurando il lavoro in palestra, quel lavoro sui fondamentali che servono a creare giocatori e non risultati”.