Sono anni oramai che, statistiche alla mano, la nona e la decima (ma a volte anche l’undicesima e la dodicesima) squadra della Western Conference, sebbene possano vantare di un record ampiamente sopra al .500 sono relegate alla Lottery mentre la sesta, la settima e l’ottava della Eastern, talvolta con record negativo si ritrovino nella post season. In questa stagione il rischio di non poter ammirare nei prossimi playoff l’ultimo MVP e i suoi Thunder è più che verificabile mentre dall’altro lato a qualificarsi saranno una o più team tra Pistons, Bobcats, Nets e Pacers, tutte, per motivi diversi non di certo dei fattori in questa annata.
La NBA, si sa, è composta da cicli ma questo dominio delle franchigie dell’Ovest dura oramai da più di un decennio; già semplicemente dando uno sguardo all’albo d’oro si più notare come negli ultimi sedici anni in sole cinque occasioni a conquistare l’anello siano stati team dell’Est (tre volte gli Heat, una volta i Pistons e una volta i Celtics), dato diametralmente opposto a ciò che avveniva negli anni ‘80 e ’90 caratterizzati dalle dinastie prima di Boston e poi di Chicago nonché dai due titoli di Detroit. Il quadro diventa più “drammatico” quando si vanno ad analizzare le percentuali degli scontri East vs Ovest in regular season: lo scorso anno si è arrivati a una percentuale del 63% in favore di questi ultimi, con picchi che hanno sfiorato il 70% e in questa stagione il dato non è molto discostante. Anche il roster generale delle due Conference è sbilanciato verso occidente: se non fosse per la costante presenza di Lebron James, e in misura diversa di Rose e Anthony si potrebbe quasi affermare che la totalità dello star power sia di casa nella Pacific Coast (situazione acuita dalle recenti trade Est-Ovest); ad Est sono anni oramai che nell’All Star Game trovano spazio nel team giovani emergenti o vecchie glorie, mentre ad Ovest alcuni ruoli sono densamente saturi e ciò non permette neanche la convocazione a molti campioni (qualche stagione orsono a “farne le spese” fu il nostro Danilo Gallinari, il quale arrivò persino alla numero 9 della Race to MVP nel mese di dicembre 2001 per poi guardare da casa la partita delle stelle causa sovrannumero di ali).
Lo spettacolo offerto ad Ovest è mediamente più alto: non sono solo tabellini finali ad avere score più alti e più avvincenti, ma anche le percentuali dal campo e il numero di “high notables” sono in numero esponenziale rispetto ai match dell’Atlantic Coast.
Soluzioni applicabili per risolvere il problema che accontentino tutti non ve ne sono; tralasciando la boutade di Mark Cuban che voleva far migrare in blocco le squadre del Texas da Ovest ad Est facendo fare il tragitto opposto ad altre quattro franchigie, tra cui Chicago ed Indiana l’unica strada percorribile sarebbe forse quella di far qualificare alla post season i migliori sedici team in assoluto, dando magari il fattore campo alle vincenti di Division e alle due migliori squadre restanti, ma ciò comporterebbe un totale stravolgimento della storia della Lega.
Più plausibile sarebbe dunque percorrere una strada conservativa ed aspettare che Celtics, Knicks e 76ers, le nobili decadute della Eastern, riassestino i loro roster e ritornino competitive ad alti livelli e parallelamente conferire maggiore importanza al titolo di Conference, in pieno stile NFL dove la conquista dell’American e quella della National hanno importanza solamente leggermente minore rispetto al trionfo nel SuperBowl.
Stefano Minerba