Cesare Pancotto è un veterano del nostro basket, visto che ha raggiunto oltre 1000 panchine (1012 per la precisione) in competizioni professionistiche. Domenica ha ottenuto uno storico traguardo, visto che grazie alla vittoria contro Avellino ha portato Cremona alle Final Eight per la prima volta.
Oggi è stato intervistato dalla Gazzetta dello Sport, in un pezzo che vi riportiamo.
Ci racconti la sua Cremona. È figlia delle idee, il lavoro e il coraggio. Abbiamo dato forza alle nostre convinzioni e non al budget. Volevamo avere un’identità precisa puntando sugli italiani. Siamo partiti innanzitutto da Vitali e da un gruppo di giocatori di serie minori, retrocessi o senza minutaggio come Mian, Campani, Gazzotti e Mei. Poi sono arrivati gli stranieri. Due rookie come Bell e Clark, un play con caratteristiche opposte rispetto a Vitali come il peperino Ferguson, preso dalla retrocessa Forlì, e Hayes che
veniva da Israele. Di tutti abbiamo approfondito, insieme al g.m. Conti, l’aspetto professionale e umano e poi quello tecnico. Avevamo preso anche Garrett che non ha superato le visite mediche, ma avevamo già in mente l’idea Cusin. Quando ha lasciato Sassari eravamo già con la macchina all’attracco del traghetto. Marco ci ha completato, non migliorato. Di certo, Cusin e Vitali offrono un plusvalore legato alla mentalità che va oltre punti e rimbalzi. Vengono da grandi club e sono nazionali: gente credibile, un esempio per tutti. La nostra non è una squadra di somme ma di sinergie.
Parliamo ormai di obiettivi diversi rispetto la salvezza. Parliamo di giocatori non affermati ma da costruire. Dobbiamo qualificare l’organico. Ho visto tanti club fare una grande stagione e poi ripartire da zero. Dobbiamo progredire, creando un progetto vero che duri nel tempo e non sia episodico. Il resto lo vedremo strada facendo: il disvalore con le squadre più attrezzate sta affiorando. Roma, Avellino e Cantù faranno un grande girone di ritorno.
Lo Scudetto, oltre Milano. Sassari, Reggio Emilia e Venezia, ma la vedo dura battere l’EA7 sulle 7 partite.
Il suo sogno. Ho l’entusiasmo di un ragazzino e la testa di un uomo maturo. Non ho mai smesso di essere ambizioso. Vorrei vincere qualcosa di importante. Il sogno è una finale scudetto. Recalcati ha vinto in età matura e per me è un esempio. Il mio non è un desiderio spasmodico, seguo un progetto preciso che ho in mente.
Un allenatore di A su cui puntare. Maurizio Buscaglia di Trento. Viene dal basso, ha sempre dovuto dimostrare il proprio valore e questo è un pregio. E’ competente, aggiornato e gioca un’ottima pallacanestro.
Si torna a parlare di italiani. Allora ripartiamo dai settori giovanili, rimpolpandoli innanzitutto nei numeri con una prospettiva nuova: una scuola italiana per un basket mondiale e non territoriale. Belinelli, Gallinari, Bargnani e Datome devono fungere da stimolo per tutti.