Uno dei parametri fondamentali per osservare lo stato di forma di una compagine NBA è senza dubbio quello di dare un’occhiata alla striscia di vittorie e sconfitte parametrata con le avversarie affrontate e il plus/minus ottenuto.
Dopo un avvio piuttosto balbettante sembra che i nuovi Big Three a Cleveland stiano iniziando a trovare il giusto amalgama. LeBron e soci sono in striscia positiva da 8 incontri, nei quali hanno affrontato, tra le altre, due delle rivali più accreditate alla leadership nella Eastern Conference, ovvero Wizard e Raptors, guarda caso le stesse compagine che solo un mese orsono avevo dato forma alla mini-crisi di stato in Ohio. I successi sono stati ottenuti nelle modalità più disparate: vittorie sul filo di lana, asfaltate clamorose e comeback nella ripresa, dati alla mano solo essenzialmente il frutto di un minutaggio più elevato delle tre stelle e di un maggior numero di passaggi – e conseguentemente di assist – da parte di LBJ e Irving. La panca sembra abbastanza corta e i soli apporti di Thompson e Waiters (più del canadese che del torello da Syracuse) alla lunga sembrano non poter bastare per l’obiettivo massimo.
Le prestazioni che vanno al di fuori di qualunque dato statistico sono invece quelle degli stratosferici Warriors, guidati da un entusiasmante Stephen Curry. La streak oramai è a quota 13 ma ciò che impressiona di più è il fatto che qualunque sia l’avversario da affrontare l’armata di Oakland riesce sempre a dettare i ritmi di gioco, decidendo quando accelerare e sferrare l’allungo decisivo. Il plus/minus è eloquente: +11,2 che rappresenta l’unico valore positivo in doppia cifra (al secondo posto vi sono i Raptors con +8,0).
Il rovescio della medaglia in questo tripudio all’armonia e allo spettacolo è però fornito dai Detroit Pistons, la franchigia più impresentabile dell’intera Lega. Sebbene Philadelphia sia indubbiamente riconosciuta come la compagine dal tasso tecnico meno elevato e Wolves e Jazz sono un giovanissimo cantiere aperto, alla “Mo Town” non può essere dato né l’uno né l’altro alibi. Magari lo star power in quel di Detroit è leggermente overrated, ma se hai a roster atleti realizzatori come Josh Smith e Brandon Jennings, nonché due centri che poche equipe NBA possono vantare quali Monroe e Drummond avere un tabellino che recita 3 vinte e 19 perse, con una striscia aperta di 13 sconfitte, non può non essere un’onta che deve ripercuotersi su tutta la società. Perseverare sullo schema tattico dei tre lunghi non solo è anacronistico ma rappresenta un vero e proprio suicidio cestistico in quanto il post delle difese avversarie è costantemente iperprotetto, causando l’impossibilità di ricezioni semplici e di penetrazioni al ferro. La disfatta contro i 76ers rappresenta l’emblema di questo vicolo cieco in cui tutta la dirigenza dei Pistons si è infilata. Ingaggi lunghi ed elevati nonché un tetto salariale che non fornisce margini di manovra sono ostacoli insormontabili che daranno luogo all’ennesima stagione tribolata nel Michigan.
Stefano Minerba