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Home Serie A Pancotto e le mille panchine: “Orgoglioso del mio percorso”. E sugli italiani: “Non devono pretendere il posto ma meritarselo”

Pancotto e le mille panchine: “Orgoglioso del mio percorso”. E sugli italiani: “Non devono pretendere il posto ma meritarselo”

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cesare pancotto, cremona

Cesare Pancotto ha festeggiato la scorsa giornata di campionato le 1000 panchine da allenatore. Destino ha voluto che il coach marchigiano festeggiasse con una vittoria (contro Reggio Emilia) questo importante e storico traguardo. Dalle colonne de “La Repubblica” Pancotto ha colto l’occasione per fare un bilancio dei suoi primi trent’anni di carriera:  “Riuscire ad arrivare a mille panchine è stata una festa, tagliare il traguardo con una vittoria è stato il massimo. E’ un percorso di cui sono orgoglioso in tutte le sue fasi, oggi ho lo spirito del ragazzino e la testa dell’adulto”.

Di queste mille partite ce ne una che però Pancotto rigiocherebbe volentieri: “Rigiocherei l’ultimo derby di Bologna, l’ultimo in assoluto (stagione 2008-2009). Io sulla panchina della Fortitudo, sconfitta di un punto con un canestro da otto metri di Vukcevic praticamente sulla sirena finale. La vorrei rigiocare, per una questione di orgoglio, personale e per quello che rappresenta quella partita per i tifosi della Fortitudo”.

La prima panchina nel 1984 a Porto San Giorgio fu in occasione di una vittoria a Mestre di un punto. A distanza di trent’anni il basket è però cambiato: “E’ cambiato nel regolamento, nell’organizzazione, nella fisicità e negli interessi. Trent’anni fa sul pullman della speranza, come lo chiamo io, si giocava a carta e si leggeva Topolino, oggi si è in contatto con tutto il mondo, si lavora sull’Ipad, si ascolta la musica dalle cuffiette. Non c’è un meglio o un peggio, c’è un oggi che dobbiamo vivere, giocatori che prima ad agosto si presentavano con la pancetta mentre oggi arrivano in ritiro già in perfetta forma. E’ un mondo diverso in cui saper comunicare è diventato fondamentale, basti pensare che prima l’acquisto di un giocatore era annunciato dalla società con un comunicato, oggi invece è lo stesso giocatore a farlo su twitter. Anche noi allenatori abbiamo capito che il mondo stava cambiando, che bisognava competere e che non potevamo fermarci a quello che era il valore intrinseco che avevamo conquistato fino a quel momento, che il posto in panchina insomma non ci spettava solo perché allenatori italiani. Ci siamo aggiornati, ci siamo messi a studiare l’inglese, abbiamo capito che competitività e meritorietà sarebbero state le due fasi successive per andare avanti”.

I giocatori italiani vivono un momento di crisi: a loro vengono preferiti tanti stranieri col risultato che i minuti in campo son sempre meno. Pancotto in questo senso è pungente: “Il nostro basket ha delle potenzialità assolute, basta vedere la crescita del numero di spettatori ma anche quanta pubblicità viene fatta con un pallone di basket e un canestro. Negli ultimi anni però ci siamo fermati più a fare diagnosi che a trovare le cure. Abbiamo pensato che la cura principale fosse solo quella di limare sempre più le spese, in realtà avremmo dovuto e dobbiamo tirar fuori delle idee. Il primo passo? Tornare a creare giocatori di scuola italiana ma spiegare loro che lo spazio in campo devono meritarselo e non pretenderlo perché italiani. E lo dice uno che si batte per gli italiani perché ce ne sono tanti e bravi”.

Non manca un accenno alla sua Cremona: ”Lo scorso anno abbiamo ricevuto il premio per il miglior comportamento del pubblico, quest’anno ci piacerebbe prendere quello del coraggio. Il budget è stato ridotto, abbiamo sposato un progetto nuovo (il 5+5) puntando su giovani o giocatori cui dare la possibilità di dimostrare cosa valgono. Vitali è il perno su cui abbiamo fatto ruotare questa squadra, è l’esperienza, la certezza, un punto di riferimento per una squadra giovane. Hayes? A Reggio si è caricato la squadra sulle spalle e ha messo la ciliegina sulla torta. Degli americani è quello con maggiore esperienza in Europa arrivando da una stagione in Israele. Bell e Clark sono due rookie, Ferguson giocava lo scorso anno in Lega Gold ed è retrocesso. Sappiamo quali sono i nostri limiti e dove possiamo arrivare. Io amo i miei giocatori, gli dico di rischiare, di andare sopra le righe ma l’importante è che capiscano il percorso che stanno facendo e che cerchino di migliorarsi”.

Nonostante le mille panchine però il coach marchigiano conserva ancora un sogno: “Quando ho iniziato a fare l’allenatore facevo programmi di cinque anni, oggi vivo alla giornata. Ma un obiettivo lo conservo, vorrei vincere uno scudetto e non smetterò mai di provarci”.